Risse violente tra i nomadi per il “controllo” degli affari: è allarme

7 Nov 2013 18:21 - di Gabriele Farro

L’ultima rissa continua a far notizia, una rissa tragica nel parcheggio dell’ospedale San Raffaele. Ma non è la prima perché gli scontri tra nomadi stanno crescendo a dismisura perché affondano le loro radici nella criminalità. E a nulla serve il buonismo della sinistra, le visite propagandistiche nelle baraccopoli, le parole generiche sull’inclusione: esistono etnie che non vogliono integrarsi e che puntano alla supremazia nei campi, per gestire giri illegati e fare da asso pigliatutto. A Milano i due clan rivali si sono incontrati per puro caso, sono volate le ingiurie, sono arrivati i parenti armati di spranghe, un uomo a terra con la testa spaccata e in manette sette uomini. Le due famiglie rom sono nomiche perché vogliono la supremazia nei campi milanesi e già in passato c’erano state faide, litigi, pestaggi e anche una sparatoria, con la polizia presa a sassate. Ma negli ultimi tempi di episodi simili ne sono avvenuti parecchi. Qualche esempio lo prova: nel campo nomadi di Castel Romano una viglilessa è stata raggiunta da un sasso mentre cercava di sedare una rissa scoppiata nel cuore della notte. Due episodi a Riccione: lei lo accusava di tradimento ed a spalleggiarla c’erano i parenti. I carabinieri hanno chiesto i rinforzi per sedare la rissa. Nel pomeriggio dello stesso giorno, nel medesimo campo, i carabinieri hanno arrestato per furto aggravato un rom cinquantenne. A fare notizia un’altra rissa, stavolta a Castel Goffredo dove i carabinieri hanno arrestato quattro persone ritenute responsabili dello scontro con sparatoria avvenuta in una discoteca-pub. In manette sono finite le tre persone rimaste ferite, tutte nomadi italiani di etnia sinta, e una quarta che potrebbe essere lo sparatore: tre di loro sono residenti a Desenzano del Garda e una in provincia di Treviso, di età tra i 30 e i 40 anni. E questi sono solo alcuni esempi. Qualcuno dovrebbe interrogarsi su cos’è stato sbagliato fino a oggi. E affrontare il problema alla radice, evitando di aggirarlo con soluzioni demagogiche: prima si estirpa la criminalità per evitare che si infiltri nei processi integrativi, poi si parla d’altro, senza criminalizzare chi – come i residenti – protestano per la presenza dei campi nomadi.

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