«Moro doveva morire». Indagato per calunnia l’ex finanziere che aveva denunciato un complotto di Stato

5 Nov 2013 19:10 - di Redazione

Cossiga, Andreotti, i vertici della Dc, quelli dei Servizi segreti e delle forze dell’ordine: sono tanti i nomi che l’ex brigadiere della Guardia di Finanza di Novara Giovanni Ladu tira in ballo: tutti, a suo dire, avrebbero saputo dove Aldo Moro era tenuto prigioniero delle Br, ma nulla avrebbero fatto per liberarlo ed evitare che venisse ucciso. La sua, assicura, è una testimonianza diretta: da “militare di leva” avrebbe fatto parte del dispositivo che monitorava il covo di via Montalcini, a Roma. «Tutto falso», secondo i riscontri compiuti dai carabinieri del Ros, che l’hanno perquisito. E Ladu – 56 anni, originario di Carbonia (Cagliari) – è stato indagato dalla procura di Roma per il reato di calunnia. L’ex sottufficiale, secondo quanto emerso dalle indagini, si sarebbe “ispirato” ad alcuni articoli e pubblicazioni sulla vicenda Moro per predisporre una memoria con false notizie: tre pagine dattiloscritte che sono state consegnate alla magistratura di Novara e anche al giudice Ferdinando Imposimato, che aveva da poco pubblicato il libro Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta. L’ex magistrato partecipò anche, con Ladu e altri due finanzieri, a un sopralluogo in via Montalcini, il 7 ottobre 2008. Nella memoria l’ex brigadiere ha tra l’altro messo nero su bianco che nell’aprile-maggio 1978, dopo che da pochi giorni aveva cominciato il servizio di leva obbligatorio ad Avellino, era stato impiegato in un appartamento di via Montalcini 8 in «servizi di controllo e vigilanza» del vicino stabile in cui sarebbe stato prigioniero Moro. In questa veste avrebbe appreso che, nel piano sovrastante l’appartamento in cui lo statista era segregato, c’erano sofisticati apparati dei servizi segreti militari che stavano intercettando le conversazioni tra Moro e i suoi carcerieri. Di tutto ciò sarebbero stati al corrente i vertici dello Stato, che però avrebbero deciso di non intervenire, lasciando deliberatamente uccidere l’ostaggio.

Quando «tutto era pronto – scrive Ludu – accadde l’impensabile. L’8 maggio, giorno prima dell’irruzione, ci comunicarono che dovevamo preparare i nostri bagagli perché dovevamo abbandonare la missione… La nostra impressione fu che Moro doveva morire». Queste “rivelazioni” di Ladu (che riconobbe anche “il baffo” Mario Moretti e “la miss” Anna Laura Braghetti) furono oggetto di una prima indagine della procura di Roma, cui gli atti furono trasmessi per competenza, che si concluse con una richiesta di archiviazione per assoluta mancanza di riscontri, non essendo «emersa alcuna pur frammentaria conferma di una missione per liberare Aldo Moro deliberatamente annullata». Richiesta di archiviazione alla quale si oppose Maria Fida Moro, assistita proprio da Imposimato come avvocato. Il gip – sottolineando tra l’altro «l’insuperabile considerazione della inadeguatezza» di un militare di leva a svolgere una missione così delicata – archiviò comunque il procedimento, il 15 novembre 2011. Ma Ladu, secondo l’accusa, non si fermò. Usando il falso nome di Oscar Puddu e spacciandosi come “ufficiale dell’Esercito” tornò a contattare Imposimato, questa volta via mail. È stato poi lo stesso ex magistrato (che ha travasato parte delle nuove informazioni nel suo libro I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia) a consegnare agli inquirenti le 84 mail ricevute da Puddu.

Nei messaggi, il sedicente “ufficiale” torna a parlare di una volontà di non intervenire per la liberazione di Moro. Non dice in concreto da parte di chi, ma chiama in causa – a volte ripetutamente – personaggi come Cossiga, Andreotti, Donat-Cattin, Zaccagnini, Musumeci, Maletti, Santovito, il superconsulente Usa Pieczenik, solo per citarne alcuni. Ladu/Puddu parla anche della struttura segreta Gladio, di cui dice di far parte, aggiungendo di aver saputo da fonti certe che un ingente quantitativo di esplosivo proveniente da un deposito dismesso dell’organizzazione era stato utilizzato per gli attentati del ’92 a Falcone e Borsellino, mentre altra parte dell’esplosivo era stata mandata «a Gaza e in Cecenia» ed era servita anche «sulla vicenda di Abu Omar». Rivelazioni anche su Ustica: il Dc9 sarebbe stato abbattuto da un «missile francese», secondo notizie apprese «dal Mossad».

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