L’inchiesta va per le lunghe: i nostri due marò resteranno in India per Natale

29 Nov 2013 14:55 - di Sandro Forte

I nostri due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India, non rientreranno in Italia per Natale. «Risolvere la questione entro Natale, che era la nostra speranza, non sarà possibile» ma «da parte nostra non ci sono dubbi: vogliamo, e siamo convinti che sia giusto che il caso si concluda con i due fucilieri che tornano a casa a testa alta». Lo ha ammesso l’inviato speciale del governo sul caso dei marò, Staffan De Mistura, ai microfoni di Radio1. «Aspettiamo il rapporto della Nia, che è un po’ la Digos indiana», ha spiegato sottolineando che, «appena arrivato questo rapporto, credo entro il 15 dicembre», il giudice potrà emettere il capo d’accusa che «sarà un passaggio importante, perché ci dirà in che direzione si vuole mandare il processo. Abbiamo argomenti su argomenti: siamo pronti ad affrontare qualunque circostanza, ma sarà un momento cruciale», ha proseguito ricordando che dopo «ci sarà il processo che può durare tre mesi dopo aver passato 22 (forse 24 mesi) in India per un incidente avvenuto in acque internazionali mentre facevano il loro dovere. Anche se l’incidente è stato involontario, è capitato nel compimento del dovere da parte di Girone e Latorre, e in questi casi l’incidente può succedere. Ma tutto questo va provato”, ha concluso l’inviato del governo italiano». Quanto all’ipotesi della condanna a morte, «il governo indiano mi ha detto» di non dare «peso alle illazioni» della sua stampa, «che è molto “creativa”, per usare un eufemismo. È drammatizzante». «Continua lo sterile balletto sulla pelle dei due marò che dura da ben due anni – commenta Ignazio La Russa, presidente di Fratelli d’Italia – Adesso il ministro degli Esteri Emma Bonino, per smentire le notizie indiane che parlano di un rapporto della polizia alla magistratura con cui si ipotizza la pena di morte, si rifà a generiche dichiarazioni governative indiane prive di valore visto che la competenza solo della magistratura che difatti resta silenziosa».

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