L’elezione di Bill de Blasio sia di esempio per una nuova cultura dell’integrazione

6 Nov 2013 19:49 - di Oreste Martino

L’orgoglio italiano per l’elezione di Bill de Blasio a sindaco di New York impone al nostro paese anche una seria riflessione sulla capacità che un paese deve avere nell’integrare figli e nipoti degli immigrati. Quando il sindaco della Grande Mela ha ringraziato nella nostra lingua amici e parenti italiani citando le sue origini di Sant’Agata dei Goti e Fasano è stato soprattutto un riconoscimento alla capacità che i nostri emigrati hanno avuto nell’integrarsi in ogni angolo del mondo. A New York ci sono 650.000 italiani e nell’area urbana della megalopoli arrivano ad essere oltre tre milioni. Per la terza volta a guidare la città sarà un italiano, dopo Fiorello La Guardia, sindaco dal 1934 al 1945, e Rudolph Giuliani, primo cittadino dal 1994 al 2001. Ed è italiano anche il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, figlio di Mario Cuomo che in passato oltre ad essere stato anch’esso governatore sfiorò la corsa alla Casa Bianca.

Se in cento anni gli italiani hanno ottenuto questi risultati è grazie a due elementi: la voglia di integrarsi dell’immigrato e la voglia di integrare del paese che accoglie. Sono questi gli elementi che hanno portato alla realtà che oggi inorgoglisce i nostri connazionali.

Nei giorni scorsi in Italia è emersa una storia significativa raccontata da un giovane ragazzo di origine cinese che dimostra come sia possibile incrociare anche da noi la volontà di integrarsi con la volontà di integrare, favorendo le seconde e terze generazioni ed isolando così le forme di illegalità che inevitabilmente ogni fenomeno migratorio si è sempre portato dietro.

Sun Weng-Long, 24enne di origine cinese, nato a Brescia, ingegnere informatico a Bologna, ha scritto una splendida lettera sul sito di Associna, l’associazione della seconda generazione di cinesi in Italia. Sun invita la sua comunità ad integrarsi di più, tenuto anche conto che quella cinese è la comunità più chiusa e meno propensa all’integrazione. “L’Italia è casa nostra e dobbiamo integrarci di più – scrive rivolgendosi ai coetanei e ai genitori -. Siamo cinesi e al contempo italiani”. La lettera contiene un accorato appello ad integrarsi, con parole toccanti: “Qui lavoriamo, qui cresciamo i nostri figli e qui abbiamo la nostra casa. Cerchiamo di difendere ciò che abbiamo costruito con fatica ed impegno, cerchiamo di difenderci in modo costruttivo, cerchiamo di comunicare di più con la società italiana, cerchiamo di trovare delle soluzioni insieme, cerchiamo di essere sinceri con noi stessi. Cerchiamo di apprezzare ciò che ci ha dato l’Italia e allo stesso tempo di condannare qualsiasi forma di discriminazione”.

È questa la strada che le seconde generazioni possono intraprendere per essere pienamente italiane, soprattutto apprezzando l’accoglienza ricevuta nel nostro paese e le occasioni di lavoro che qui hanno trovato. Ed è questa la strada per evitare i conflitti che la Francia ha vissuto fino agli estremi delle rivolte delle banlieu. Il giovane cinese nato a Brescia e residente a Bologna ha squarciato un velo chiamando la sua comunità ad essere più generosa con il paese che la ospita.

Sun è oggi orgoglioso di essere cittadino italiano, senza rinnegare la sua cultura di provenienza. “Se mio nonno fosse rimasto in Cina – ha scritto -, forse non sarei neanche nato e non avrei tutto quello che ho adesso. Forse la mia famiglia non avrebbe avuto le stesse possibilità economiche e io non avrei potuto studiare, probabilmente non sarei ciò che sono ora”. La conclusione della lettera alla sua comunità è ancor più toccante: “Tu mamma, preferisci un figlio monolingue che cresca in Italia considerandola solo una terra di passaggio? Tu papà, desideri che tuo figlio faccia la stessa vita che hai fatto tu? Le nostre vite sono diverse, io sono fortunato e ne sono perfettamente cosciente, tuttavia i desideri e le prospettive per il futuro ci dovrebbero unire, tutti insieme. Tutti desideriamo vivere bene sia in Cina che in Italia, ma ora tutti noi siamo in Italia, lavoriamo in Italia, dormiamo in Italia, ci svegliamo sotto il bel cielo azzurro dell’Italia e se non cominciamo a considerare anche l’Italia come “casa” ma solo come terra da sfruttare cosa rischiamo di lasciare ai figli? Probabilmente sono ingenuo e non ho affrontato esperienze di terribili migrazioni ma continuo a sognare e a impegnarmi perché voglio che quest’Italia possa offrire la sua parte più bella”. Alla fine l’ingegnere italo-cinese conclude dicendo “amo il paese in cui vivo”.

È questa la strada della corretta integrazione, quella indicata da Sun Weng-Long e intrapresa oltre un secondo fa dagli italiani sbarcati in ogni angolo del mondo, che adesso vedono però con orgoglio i loro nipoti alla guida del mondo dove andarono alla ricerca di fortuna.

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