La Roma di Marino fa acqua da tutte le parti. Non solo l’Ara Pacis: a rischio anche la Sala degli Orazi e Curiazi

23 Nov 2013 11:02 - di Antonella Ambrosioni

Piove da giorni ma a Roma nessuno ne prende atto e a distanza di pochi giorni dall’allagamento dell’Ara Pacis, a pagare il conto smisurato dei danneggiamenti è ancora una volta il grande patrimonio, unico, irripetibile (speriamo recuperabile) della città. Non «piove sulle tamerici salmastre e arse», come diceva il Vate, ma più gravemente sulla splendida Sala degli Orazi e Curiazi al Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini. A patire sono gli arazzi seicenteschi del Cavalier d’Arpino (al secolo Giuseppe Cesari) – tra tutti, Il ratto delle Sabine -, con microlesioni e pericolosi rigonfiamenti di alcuni tratti. Era risaputo che questa sala così prestigiosa e rinomata presentasse delle criticità dal punto di vista della conservazione e della delicatezza. Due anni fa ci fu un cedimento in un settore del soffitto ligneo e anche i bambini sanno che il maltempo è prevedibile in autunno e che la pioggia è insidiosa per le architetture dei Capitolini che postano il peso di secoli e secoli di storia. Tutti lo potevano e lo dovevano prevedere, tranne il sindaco Marino e la sua Giunta, che non si sono ancora resti conto che amministrare Roma significa almeno conoscere la città e conservare dignitosamente almeno il suo cuore culturale, in assenza di altre idee brillanti. Finora abbiamo sentito solo parlare di pedonalizzazione dei Fori, di piste ciclabili e di unioni gay, mentre l’Ara Pacis e la sua teca si trasformano in un acquario  – mai successo in 70 anni – e mentre il mausoleo di Augusto affoga nel fango per il mancato restauro causa ritardi e burocrazia: il che vuol dire che neanche per il bimillenario della morte dell’imperatore (19 agosto del 14 d.C.)  questa amministrazione assicurerà uno spettacolo degno di questa città e delle aspettative dei turisti.

Forse non ci si rende conto abbastanza che si tratta di una figuraccia di fronte al mondo. Un fallimento acuito da cedimenti strutturali gravissimi, di cui dovrebbero rispondere i diretti responsabili. Agire dopo l’emergenza, dopo il danno, in questi casi equivale al nulla, non basta. Ma non pare invece che i media si indignino – ne parlano soli i quotidiani romani Tempo e Messaggero – come all’epoca del cedimento di un muro di Pompei, quando se ne fece un caso nazionale (giustamente), perché serviva a raffigurare plasticamente (e strumentalmente)  lo sbriciolamento del governo Berlusconi e di tutto il centrodestra. Si invocarono le dimissioni del ministro Bondi, che ci furono. Ora nulla. A parte l’interrogazione del vicepresidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, al ministro Bray, sullo stato dell’Ara Pacis, non sembra che importi a nessuno che questo patrimonio – vitale per turismo, economia, occupazione – lasciato nella mani di Marino, non si sa bene che fine farà, se queste sono le premesse. Sulla questione Ara Pacis è intervenuta anche “Italia Nostra” per chiedere di tornare alla Teca di vetro di Morpurgo, che dalla metà degli anni ’30 fino al 2006 ha protetto egregiamente il gioiello d’età augustea. Per essere “stranamente” sostituito dalla costosissima ( e inutile) teca Meier gestita dall’asse Rutelli-Veltroni. Ora tocca ai Musei Capitolini pagare dazio della irresponsabilità di un altro sindaco non particolarmente illuminato.

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