Dalle pizze al pixel: la rivoluzione digitale travolge il cinema e le sue sale

20 Nov 2013 11:08 - di Priscilla Del Ninno

Dalle pizze al pixel. Sembra un gioco di parole, ma è meno divertente di quanto si possa immaginare. La tecnologia ha la meglio sulla magia: e la lanterna magica cinematografica alla fine cede il passo al virtuosismo informatico. Da gennaio la pellicola finirà in qualche polveroso scaffale d’archivio, rimpiazzata dai più pratici ed economici hard disk: una rivoluzione che impone agli esercenti di sostituire i loro proiettori analogici da 35 millimetri con un impianto digitale. Il cinema, nella tradizionale e artigianale accezione del termine, cambia volto, adeguando strumenti e linguaggio estetico, e dunque mestieri e sistema industriale, ma sulla sua rinascita virtuale incombe una spada di Damocle letale: la data del 31 dicembre, trascorsa la quale i film, al netto di qualche ritardatario, viaggeranno solo in formato digitale. Un passaggio tutt’altro che indolore se si considera che, a poche settimane dalla deadline fissata, molti esercenti devono ancora aggiornare il sistema di proiezione, tanto che ad oggi è più che plausibile ipotizzare che una sala su quattro sia a rischio chiusura. Perché se è noto che i grandi circuiti multiplex sono già tutti modernamente digitalizzati, è altresì drammaticamente vero che le sale di alcuni centri cittadini, i piccoli cinema di provincia, non hanno avuto fin qui questa possibilità, cavalcando strenuamente la scelta coraggiosa di portare avanti la politica di resistenza passiva all’ondata distributiva di blockbuster, operata in nome di una concezione del cinema come luogo di ritrovo culturale e di aggregazione sociale. E se il cambiamento è ormai irreversibile, e strutturato capillarmente, tanto che non soltanto le sale – anche se non tutte ancora visto che ad oggi, come puntualmente riportato dal Corriere della sera, all’ultimo rilevamento solo il 61,8% del totale degli schermi è riuscito ad adeguarsi – ma anche otto registi su dieci girano già in digitale, con buona pace di cineasti della vecchia scuola dei mestieri e delle arti. E per uno Spielberg e un Tornatore che si declinano alla nuova grammatica cinematografica,  c’è un Paolo Sorrentino che resiste: tanto che le calligrafiche sequenze della Roma decadente de La grande bellezza sono impresse su pellicola, anche se poi convertite per il montaggio, che da tempo è interamente computerizzato.

Non c’è scampo, insomma: le argomentazioni economiche e tecnologiche hanno la meglio sulle ragioni dell’arte: e del resto ultimamente ci si affanna molto a rimarcare tra percentuali e previsioni di spesa, quanto e come il passaggio al digitale arriverà a dimezzare i costi di stampa e a ottimizzare i problemi pratici di trasporto e distribuzione. Cambiamenti necessari e adeguamenti proficui, rispetto ai quali – e gli addetti ai lavori lo ribadiscono continuamente – l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa ad attuare. Intanto ci ferma poco a riflettere sul fatto che, sulla strada del progresso computerizzato, resteranno le macerie di tanti “cinema paradiso” destinati, di qui a breve, a sparire per sempre.

 

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