Cavaliere caduto, Letta azzoppato, centrodestra avvelenato: amara cronaca di un giorno “tafazziano”

27 Nov 2013 20:57 - di Luca Maurelli

I due blindati della polizia in via degli Staderari, a presidio del Senato ma nascosti alla vista dei turisti che si dirigevano verso piazza Navona, erano stracolmi di agenti “invisibili”, altri celerini erano dislocati lungo tutto il perimetro di Palazzo Madama come a stringere la morsa in difesa di una classe politica esposta alla sua giornata più drammatica, tra pericoli di tumulti interni e minacce di incroci pericolosi tra le fazioni dei due eserciti in campo. Un clima da Cecoslovacchia fine anni Sessanta. Tanto rumore per nulla. Dentro al Palazzo, le amazzoni di Silvio esibivano il lutto, la coppia di ex timidi Bondi-Repetti gestiva la claque azzurra, aprendo le ostilità contro la grillina Taverna – famosa per non sapere cosa reciti l’articolo 21 della Costituzione – che aveva esibito il proprio campionario di insulti contro Berlusconi, Scilipoti si inerpicava sui banchi con un cartello per immolarsi tra le braccia dei commessi protesi verso di lui nel tentativo di bloccarlo, il senatore a vita Renzo Piano si beccava le ironie di Gasparri per essersi presentato – una volta tanto – in aula per godere della ghigliottina, l’autonomista Zeller citava Stalin, il “galliano” Ferraro Ceaucescu e Manzoni, la Bernini tirava in ballo Bertold Brecht e chi più ne aveva più ne metteva. Ma la citazione più opportuna sarebbe stata quella di Tafazzi, il personaggio che si colpisce i testicoli sorridendo, o quella del signor Malaussene, il capro espiatorio di Daniel Pennac, protagonista di un film in questi giorni al cinema, “Il paradiso degli orchi”, in cui c’è tutta la metafora della ricerca, inutile, di un colpevole su cui scaricare le frustrazioni collettive per sfuggire le responsabilità personali. Il rito della fustigazione politica si svolgeva in diretta tv,  sotto gli occhi degli italiani, che assistevano alla festa della forca berlusconiana con la triste sensazione di un’esibizione di forza di una classe politica in confusione, in uno show tanto euforizzante quanto inutile visto che con un po’ di buon senso il Pd avrebbe potuto evitare di farsi del male e farne al Paese e al “suo” governo: avrebbe potuto semplicemente evitare di “consegnarsi” ai Cinquestelle e a Renzi, attendere l’interdizione di Berlusconi tra un paio di mesi e nel frattempo non segare le gambe al governo Letta indirizzando il Paese verso nuove elezioni, con vecchia legge e avventurieri della politica pronti a cavalcare l’ondata nuovista. Potenza di Berlusconi, capace di costringere anche i più astutit strateghi della politica a mosse masochistiche giustificate solo dalla necessità di piantare la bandierina sullo scalpo del Cav.

Alle 17.42 è arrivato il voto, scontato nell’esito ma così imprevedibile nei risvolti futuri. Anche alla luce dello spettacolo triste offerto dall’asse Pd-Cinquestelle, che hanno perfino evitato di esultare insieme, in aula, dopo il verdetto, come amanti clandestini timorosi si essere additati come baldracche che si lasciano e si prendono ad ogni prurito. Spettacolo triste replicato anche sui banchi del centrodestra, dove dietro una formale solidarietà al Cavaliere i gruppi degli alfaniani e degli azzurri si sono guardati in cagnesco per tutta la seduta, fino alla lite esplicita tra Bondi e Formigoni, fino ai veleni del post-partita, con accuse di “farsa, doppiogiochismo e tatticismo” rivolte dai falchi di Berlusconi ad Alfano, con repliche inevitabili e un tardivo pressing sul Pd per chiedergli la “riforma della giustizia”. La vittoria, per chi ha vinto, è stata giudiziaria, per quella politica Berlusconi (e la storia degli ultimi anni) invitano ad attendere. Tutti noi ricordiamo  i tappi di spumante che nel novembre del 2011 saltavano sotto Palazzo Chigi in mezzo a una folla ubriaca di vendetta e assetata di sangue, che aspettava di veder sfilare il cadavere politico del Cavaliere. Come dimenticare “Bella ciao” cantata a sguarciagola, i lanci di monetine, i tentativi di sfondare il muro di Palazzo Grazioli al grido di “galera, galera”. Sono gli stessi euforici militanti della sinistra che oggi, dopo due anni, esondano sul web incitando al Berlusconi “deceduto invece che decaduto” e che per strada circondano i palazzi della politica romana ebbri di gioia per la fine politica del Puzzone. Ricordiamo tutti come andò a finire, un anno dopo, solo sei mesi fa, alle elezioni. L’ex senatore Berlusconi, anche stavolta, dal carcere, da un agriturismo a pulire i cessi o dal salotto di Palazzo Grazioli, è pronto a resuscitare nutrendosi dell’odio altrui, della contrapposizione, delle sue eterne promesse che diventano avvolgenti e suggestive solo quando possono essere comunicate dalla trincea dell’opposizione e non da una poltrona di governo. Ecco perché le domande sorgono spontanee: a chi sarà servita questa simpatica sceneggiata del Senato, chi starà davvero esultando, dalle parti del centrosinistra,  Renzi quanto farà ballare il suo collega di partito facendosi forte della maggioranza risicata? Di sicuro i nuovi Turigliatto (quelli che tormentarono Prodi) hanno già un preciso identikit: sono ambiziosi e prendono ordini da Firenze.

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