Almeno nello “spazio” siamo un’eccellenza, allora perché tagliare i fondi alla ricerca?

28 Nov 2013 11:24 - di Silvano Moffa

Lo spazio rappresenta un settore fondamentale non solo per la ricerca, ma anche per lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. Si pensi soltanto agli effetti che da quella ricerca derivano nel mercato delle comunicazioni, nel settore della navigazione satellitare e in quello della medicina, per non parlare delle applicazioni sul versante delle osservazioni della Terra. Di recente, il Centro Alti Studi della Difesa (Cesma), diretto dal generale Cardinali, ha offerto un quadro molto interessante dei successi ottenuti dall’Italia sul piano tecnologico, industriale e scientifico, grazie alla ricerca e alle missioni spaziali. Si deve a studiosi di altissimo livello, come Amaldi, Broglio, Napolitano, Buongiorno, tanto per citare alcune fra le personalità più prestigiose, se oggi siamo riusciti ad essere tra i primi  otto paesi spaziali del mondo. Ingegneri e tecnici italiani hanno dimostrato di non essere inferiori a nessuno. Anche nel campo dei sistemi complessi e ad alto rischio, dove competiamo con americani, tedeschi e francesi, senza particolari complessi. Con Cosmo Sky Med siamo leader mondiali nel settore dei satelliti duali di osservazione radar ad alta risoluzione , con una gamma di prestazioni vastissima: dalla lettura dei terremoti al controllo degli spazi aerei e portuali. Con Vega, siamo i primi in Europa  nella realizzazione dei lanciatori di medio-piccola grandezza. Con i moduli della Stazione spaziale internazionale nessuno ci batte nella realizzazione di strutture spaziali abitate. Negli ultimi tempi, i nostri astronauti hanno guadagnato rispetto e prestigio nei confronti dei colleghi delle altre nazioni. Vantiamo oggi un numero di astronauti di tutto rispetto. Abbiamo ancora  impressa negli occhi l’ultima missione di Luca Parmitano, l’apprensione e il timore nei  momenti rischiosi  della sua impresa. Al di la’ delle emozioni vissute, pochi sanno che il suo è stato l’esperimento più lungo e intenso nella storia delle Stazioni spaziali. Abbiamo persino la prima donna aeronautica della storia italiana. Si chiama Samantha Cristoforetti. Presto la vedremo in orbita. Insomma, stiamo parlando di una eccellenza italiana. Di un Paese che nello spazio ha conquistato  un livello  internazionale indiscutibile.  Una posizione raggiunta grazie a molti fattori. Fino a non molti anni fa, gli stanziamenti pubblici sono stati adeguati, in linea con i piani triennali nazionali. L’Agenzia spaziale , istituita nel 1998, ha svolto  una funzione  decisiva e mantenuto un ruolo di tutto rispetto nella definizione dei programmi dell’Esa , l’Agenzia spaziale europea della quale siamo il terzo paese finanziatore. La nostra industria – grande, media e piccola- non è stata da meno. Come pure gli istituti di ricerca ed universitari. Il rapporto tra programmi civili e quelli della Difesa è stato stretto e costruttivo. Si tratta di fattori  che hanno mantenuto in piedi e rafforzato il settore, nonostante  la scarsa attenzione della politica. Un difetto  ricorrente e dolente, purtroppo. Forse, il punto di maggior criticità, visto quanto la politica negli altri Paesi sia invece molto attenta agli sviluppi applicativi nel campo industriale dovuti alla ricerca spaziale. Siamo stati con Telespazio il primo paese europeo ad effettuare servizi di telecomunicazione satellitare, nei primi anni Sessanta, e leader nelle tecnologie “payload” con Alenia Spazio , sin dagli anni Settanta, grazie a programmi sia civili (Sirio ed Italsat) sia militari (Sicral). Eppure, nonostante ciò non siamo riusciti ad incidere da protagonisti nel ricco mercato delle telecomunicazioni, che rappresenta il 90 per cento le mercato commerciale dello spazio. Come dire: abbiamo il know how, ma restiamo alla finestra, mentre gli altri  fanno affari.  In Europa, è la Francia a dominare. Altrove, le aziende manifatturiere del settore vengono considerate strategiche e come tali difese dallo Stato. Da noi, sono a mano a mano  finite sotto il controllo di gruppi stranieri.Thales Alenia Spazio Italia, ex Finmeccanica, per due terzi è posseduta dalla Francia. Avio Spazio è stata venduta da anni dalla Fiat a società   di investimento stranieri che ora si apprestano a cedere le loro quote sul mercato, una volta incassata l’ennesima plusvalenza. Il gruppo tedesco OHB ha acquisito la ex Carlo Gavazzi Space. La francese Astrium si è aggiudicata la maggioranza di Space Engineering. Il programma europeo Galileo di navigazione satellitare  è a rischio:  le nostre imprese  hanno difficoltà nell’aggiudicarsi le relative commesse, a fronte di una concorrenza spietata e dello scarso sostegno governativo in ambito europeo. Lo scenario è inquietante. Le risorse destinate all’Agenzia spaziale  scendono in picchiata. Si calcola che quest’anno i fondi  stanziati riusciranno a malapena a garantire il mantenimento degli impegni assunti per i programmi Esa.

Il che significa che non ci sono soldi per programmi futuri e di sviluppo. Ne risentirà, come è ovvio, la crescita competitiva del nostro Paese. Ci vorrebbe un impegno politico forte e diretto; un cambiamento della governance complessiva. In Francia, la politica spaziale  dipende dalla Presidenza. Da noi l’Agenzia è assimilata ad un ente di ricerca. Così non si colgono le opportunità internazionali e si limitano  le potenzialità applicative del settore. Due parlamentari, Paola Pelino di Forza Italia e Alessia Mosca del Pd hanno presentato in materia proposte di leggi molto simili. Entrambe chiedono un impegno diretto della Presidenza del Consiglio, come avviene altrove. Se fossero accolte, si coglierebbero almeno due risultati: il segnale che l’Italia  finalmente considera strategica la politica spaziale e  la garanzia di una difesa più stringente dei nostri interessi in ambito europeo. Sarebbe davvero un bel passo  in avanti.

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