Addio alla Sora Mirella: al chiosco delle sue grattachecche fece tappa anche Obama

21 Nov 2013 18:35 - di Redattore 92

Nel luglio di tre anni fa, in visita ufficiale a Roma, Barack Obama con Michelle e le figlie aveva fatto deviare il corteo presidenziale per fermarsi al suo chiosco. L’uomo più potente della terra non aveva resistito al fascino della sua grattachecca, ghiaccio tritato e sciroppo lavorati con un metodo tradizionale antico. La Sora Mirella, (al secolo Mirella Mancini), morta mercoledì a 78 anni, era un’istituzione per i turisti e per i romani che nelle sere d’estate erano di transito all’Isola Tiberina. Sguardo burbero, risata contagiosa, battuta sempre pronta da vera trasteverina, la Sora Mirella era il simbolo di un chiosco nato quasi un secolo fa, nel 1915. Per farla arrabbiare bisognava dire che le sue erano semplici “granite”. La Sora Mirella amava ricordare l’origine della grattachecca, citando la leggenda di Vincenzo, ciabattino di Trastevere, che a ogni cliente che arriva al chiosco per chiedere la granita, diceva alla moglie Francesca, detta Checca, di preparare altro ghiaccio. Da qui l’esortazione: «Gratta Checca, gratta Checca». Molto più probabile l’origine più prosaica, data del nome della lastra di ghiaccio, che i romani chiamavano “checcha”. Quella lastra che veniva tritata finemente a mano fino a diventare come neve, mischiata a sciroppi fatti in casa e pezzi di frutta fresca tritata. Oggi il chiosco è moderno, si serve anche altro oltre alle grattachecche, è aperto tutto l’anno e vi lavorano i suoi due figli. Ma il ghiaccio si tritura ancora a mano. Mirella ha lavorato fino a 4 anni fa ed anche la scorsa estate non ha rinunciato ad una visita all’ amato fiume, dove ha trascorso 50 della sua vita. Sora Mirella era stata anche amica della Sora Lella, la sorella di Aldo Fabrizi (che gli italiani conoscono come personaggio televisivo e come attrice di tanti film di Verdone)  che aveva un ristorante proprio a due passi dal chiosco.  Chi ha conosciuto entrambe ha conosciuto i romani che sapevano essere globali senza globalizzazione, che non conoscevano il melting pot, la cucina etnica, la dieta Ducan o la corsa selvaggia allo shopping. Una città solidale, ma non buonista. Una città che i romani (ma anche i turisti) faticano a ritrovare e a riconoscere. E che conserva la sua identità ancora in pochi posti. E forse non è un caso che Obama nella sua breve visita romana abbia fatto tappa proprio in quel chiosco.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *