A quasi 70 anni ancora ai comandi di un treno: così la Fornero inguaiò i macchinisti (e nessuno se ne cura)

16 Nov 2013 18:30 - di Aldo Di Lello

Come giudicate un governo e un parlamento che costringono persone di 66 anni a condurre un treno a 300 km orari, con la responsabilità di centinaia di passeggeri sulle loro spalle?  Che quel governo e quel parlamento sono soggetti irresponsabili. Per non dire altro. Be’, non ci crederete, ma è proprio quello che accade in Italia dall’entrata in vigore del cosiddetto decreto “Salva Italia” del dicembre del 2011. Quella legge, cui il non rimpianto ministro Fornero ha fornito un contributo decisivo, ha allungato i tempi di pensionamento per i lavoratori italiani, prevedendo eccezioni solo per i lavori usuranti. E i macchinisti non possono beneficiare di questo tipo di deroga. Come è possibile? Tenetevi forte, perché il motivo è tragicamente grottesco: i “supertecnici”estensori del testo di legge hanno fatto un pasticcio, confondendo i termini del lessico giuridico. Laddove dovevano scrivere “comma” hanno scritto “articolo”,  inguaiando così un’intera categoria. Il comma 19 dell’articolo 24 del “Salva Italia” è quello che appunto indica (vi risparmiamo il burocratese del testo) le categorie che possono andare in pensione prima dei 66-67 anni di età. Ai ferrovieri hanno dedicato l’ultimo capoverso, scrivendo che le «disposizioni del presente  articolo si applicano anche ai lavoratori iscritti al Fondo speciale istituito presso l’Inps  ai sensi dell’articolo 43 della legge 23 dicembre 1999, n. 488» (quello che riguarda appunto i macchinisti). Avrebbero dovuto invece scrivere le «disposizioni del presente comma». Scrivendo “articolo” hanno fatto rientrare i macchinisti nelle diposizioni generali della legge. E quindi niente pensionamento prima del 66-67 anni.

Ma le assurdità non finiscono qui. Perché da due anni non si riesce a rimediare a questo “regalo” offerto dalla dabbenaggine burocratica. L’associazione dei macchinisti “Ancora in marcia!” si batte inutilmente dal 2012 per sensibilizzare parlamento e governo. Ma non c’è niente da fare. Lorsignori sono sempre in tutt’altre faccende affaccendati. L’assurdità di questa vicenda  contribuisce , insieme a tante altre piccole-grandi  assurdità presenti nella vita politica e amministrativa nazionale, a dare bene l’idea dell’odierno “declino” italiano, che è morale e cognitivo (nel senso della consapevolezza sociale delle classi dirigenti) prima ancora che economico. È il declino di un Levitano in disfacimento, che può incutere timore sole se guardato da lontano. Ma che, osservato da vicino  e raccontato nei suoi particolari, mostra tutta la sua insipienza e la sua fragilità. È come il Castello di Kafka: «…Ma avvicinandosi rimase deluso, il castello non era che un misero paese».

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