Tutto come previsto: la Kyenge urla “siamo tutti rom” e visita i campi nomadi

31 Ott 2013 17:26 - di Antonio La Caria

Lo si era capito già ventiquattr’ore fa che la Kyenge stava per cambiare passo e che allo slogan “siamo tutti clandestini” avrebbe aggiunto uno slogan nuovo di zecca, “siamo tutti rom”. Ne aveva parlato in commissione alla Camera, con un giro di parole furbo, che dribblava i problemi e si limitava al buonismo generico, con concetti come protagonismo comunitario che può significare tutto e niente. Subito dopo, la contromossa: una visita al campo nomadi di via Gordiani, a Roma, dove ci sono 245 rom che vivono nei container. Un’azione un po’ alla Ignazio Marino, propaganda semi-elettorale nei campi e problemi dei residenti completamente dimenticati. A beneficio della stampa, una serie di racconti con tanto vittimismo: «Buongiorno ministro, io la conosco, l’ho vista in televisione. Dobbiamo prendere in mano la situazione: noi rom siamo discriminati. Se io voglio lavorare devo nascondere la mia etnia». E la “ministra” ha ascoltato «le loro esigenze». La «sfida più grande», ha poi replicato, «è definire il loro status giuridico, perché risolverebbe il problema nell’immediato e per le generazioni del futuro: queste persone non hanno accesso ai servizi». La questione «va risolta alla radice – ha sottolineato Kyenge – bisogna risolvere il nodo dei documenti. E questo è un processo che va accompagnato da una campagna contro la discriminazione». Il tutto come se il nodo dei documenti, l’incertezza su chi popola i campi e tutti i problemi connessi non siano legati a una precisa strategia di molti nomadi ma sia colpa di discriminazione. L’Italia, ha ricordato la Kyenge conversando con i cronisti, sta lavorando nell’ambito di una Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti: «Abbiamo il compito di vigilare affinché le amministrazioni locali possano applicare quello che esce fuori da queste linee guida, prima fra tutte l’esigenza di superare i mega-campi». Dagli ultimi incontri, ha aggiunto Kyenge, «sono emersi alcuni punti fondamentali: continuare a combattere la dispersione scolastica all’interno delle comunità e proseguire nel percorso di integrazione lavorativa». La Kyenge non sa o finge di non sapere che la cosiddetta dispersione scolastica avviene perché molte famiglie rom – non tutte, sia chiaro, una una larga fetta – utilizza i bambini in modo illecito, costringendoli a chiedere l’elemosina per strada o addirittura a rubare (i casi di fermi a ridosso delle metropolitane o negli autobus ne sono una prova lampante). Così come la stessa Kyenge non sa o finge di non sapere che la rabbia di coloro che vivono in zone dove c’è una presenza massiccia di rom non è motivata da razzismo o intolleranza ma dalla crescita di episodi di criminalità, dai furti negli appartamenti alle intimidazioni. Se non si cancella questo, se non si mettono punti fermi dando un calcio al buonismo, è inutile parlare fumosamente di integrazione: nulla cambierebbe e a pagarla sarebbero quei rom che non si fanno trascinare nell’illegalità.

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