Torna il fuoco contro i “fasci”: a Bologna assalto a CasaPound, in sede c’era anche una ragazza al nono mese

10 Ott 2013 14:17 - di Redazione

Vizio antico quello del fuoco contro i “fasci”. La storia italiana ne ha conosciuto già le drammatiche conseguenze, impresse nella memoria con un’immagine precisa: la foto dei fratelli Mattei alla finestra della loro casa in fiamme. Non tutti, però, sembrano aver fatto propria la lezione: ieri sera, la sede di CasaPound Italia Bologna, nel quartiere Santo Stefano, è stata presa da assalto da una trentina di antagonisti, al grido di «Fasci di merda, vi diamo fuoco alla sede». E l’incendio si è rischiato davvero.

Dentro c’erano cinque militanti, fra i quali due ragazze di cui una al nono mese di gravidanza. Stavano preparando una serata di solidarietà a favore del Kosovo, promossa in collaborazione con l’associazione Sol. Id., che si occupa di cooperazione internazionale.

Feriti non ce ne sono stati, ma è stato per un caso, per la fortuna o, se si vuole, per la capacità di reazione dei ragazzi che erano in sede.

‘’A un certo punto – ha raccontato Andrea Lamona, coordinatore di Cpi Emilia Romagna, che era sul posto – abbiamo sentito da fuori un gruppo di antifascisti che lanciavano insulti e minacciavano di dare fuoco alla sede. Il tempo di affacciarci e dal gruppo è partito un fumogeno che è atterrato su alcuni fogli di carta che erano su una scrivania dando vita a un principio di incendio. Siamo riusciti a rispedirlo fuori. Poi è partito un lancio di bottiglie».
A quel punto i ragazzi di Cpi hanno cercato di mettersi al riparo abbassando la saracinesca. Non è comunque bastato perché, ha raccontato ancora Lamona, «il gruppo da fuori l’ha forzata, riuscendo a infilare sotto la serranda un altro fumogeno che ha reso irrespirabile l’aria della sezione. La preoccupazione, ovviamente, è stata tutta per la nostra militante al nono mese di gravidanza, poi portata in ospedale per accertamenti».
Il responsabile di Cpi ha commentato parlando di «un episodio gravissimo e inquietante, che succede ad altri episodi analoghi avvenuti qui in regione, come la molotov lanciata contro questa nostra stessa sede bolognese nel novembre del 2012 o l’ordigno esploso accanto alla sede di Parma ad agosto». «Ci chiediamo – ha aggiunto – come sia possibile che azioni come queste possano ripetersi a una tale frequenza nell’indifferenza generale e restando peraltro del tutto impunite. Le istituzioni e la politica hanno il dovere di intervenire, se non vogliono dirsi conniventi con chi, 40 anni dopo gli anni ’70, pensa ancora che le “sedi dei fascisti” si chiudono col fuoco».
Interventi, invece, anche all’indomani dell’accaduto non ne risultano. Un silenzio che certo non si può giustificare  minimizzando l’episodio perché “tanto non ci sono stati feriti”. È ancora la storia dei Mattei, così profondamente italiana e così profondamente misconosciuta, a insegnarlo: Achille Lollo, reo confesso e impunito dell’incendio di Primavalle, in un’intervista al Corriere della Sera del 10 febbraio 2005 si giustificò parlando di «terribile cazzata». «Non volevamo provocare l’incendio, né uccidere. Doveva essere un’azione dimostrativa, come altre che avevamo fatto contro i fascisti a Primavalle. Ma al momento di montare l’innesco, mi si ruppe il preservativo…», furono le sue parole. Quella “caz…” costò la vita a un ragazzo di 22 anni e a un bambino di 8.

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