Montiani confusi e indecisi dopo l’addio (confermato) del leader. Il rischio è di una spaccatura

18 Ott 2013 14:13 - di Gloria Sabatini

Nessun ripensamento notturno del senatore a vita: al divorzio tra Monti e la sua creatura  politica mancano solo le carte bollate. «Le mie dimissioni sono irrevocabili. Io non sono più iscritto a Scelta civica», ha detto l’ex premier a margine delle commemorazioni di Wilfried Martens a Palazzo Giustiniani, dove ha incontrato alcuni dei fratelli-coltelli che in questi mesi hanno logorato la sua fragilissima leadership. «Non mi occupo più di Scelta civica, il partito che loro stessi mi hanno chiesto di creare», ha detto direttamente al ministro Mario Mauro con il quale è sfumata qualsiasi speranza di ricucitura. A nulla sono valsi i tentativi di reincollare i cocci da parte di ministri come Mario Catania e dei montiani di ferro come Ilaria Borletti Buitoni, ora la battaglia è tutta sulla sopravvivenza della pattuglia parlamentare e del partito. Una battaglia che si combatterà fitta da qui a martedì, quando Alberto Bombassei, vicepresidente del partito, presiederà l’assemblea dei parlamentari destinata a trasformarsi in una gigantesca conta. Molto dipenderà da quanto i montiani di ferro (Lanzillotta, Ichino, Della Vedova) riusciranno a rosicchiare al manipolo degli 11 senatori che hanno firmato con Casini e De Poli il documento anti-professore.  Se il tentativo riuscisse il fronte montiano potrebbe tornare a quota dieci e mantenere il suo gruppo,  altrimenti rimangono due opzioni: la richiesta di una deroga al presidente Grasso o confluire nel misto come sottocomponente del misto. «Non credo che Mario Monti abbia rotto con la Scelta Civica. In ogni caso sono molto dispiaciuto per le sue dimissioni», ha commentato Mauro, «credo che la strada obbligata per l’Italia sia fare ogni sforzo per sostenere il governo di cui l’Italia ha assolutamente bisogno». Dietro le parole di circostanza e le formule di rito (“grazie per il lavoro svolto”) è evidente il cambio di marcia, anche se non è ancora chiaro né imminente il disegno di un possibile nuovo cartello neo-popolare che vada da Scelta civica all’Udc di Casini passando per i pidiellini centristi alla Formigoni e Giovanardi.  Molto duro nella ricostruzione dello strappo Andrea Romano, che da microfoni di Agorà attacca frontalmente il ministro Mauro. «Quello di Monti non è un abbandono di Scelta civica, ma un atto di coraggio nei confronti di una cosa scandalosa successa ieri. Dopo che avevamo discusso della legge di stabilità, sottolineandone alcuni limiti e facendo una critica costruttiva,  un gruppo di senatori, capitanati da Mario Mauro, fa un comunicato in cui si dice che la legge di stabilità va benissimo e chi la critica è un opportunista. In politica si è visto di tutto – alza la voce –  ma non avevo mai visto che si arrivasse, per beghe di partito e per riti della vecchia politica, a sconfessare in modo così plateale una persona come Mario Monti. Chi vuole andare nell’Udc, chi vuole tornare nel Pdl lo faccia. Scelta civica non è in parlamento per partecipare a riti della vecchia politica che hanno stancato gli italiani». La partita è appena cominciata. Una vecchia volpe come Bruno Tabacci aveva avvertito il Professore. «Lo avevo avvisato prima della sua discesa in campo di stare molto attento ad alcuni compagni di strada di cui si stava circondando, gli stessi che sono stati salvati da lui e che adesso lo trattano in questo modo. È evidente – osserva – che l’attacco a Mario Monti sulla valutazione della legge di stabilità è puramente strumentale. Sul testo del governo ci sono giudizi critici che vanno da Bondi a Fassina».

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