Il Cavaliere esca dal Palazzo ed entri, da gigante, nella storia

11 Ott 2013 19:33 - di Mario Landolfi

Forse in cuor suo vorrebbe mollare, starsene in disparte e persino essere dimenticato. Ma non può. il ruolo di Berlusconi è stato troppo decisivo in questi ultimi vent’anni di storia patria perché egli possa pretendere di uscire silenziosamente di scena. Persino ora che la situazione gli imporrebbe di dedicarsi esclusivamente ai propri affanni, è costretto a stare in trincea nel tentativo di sedare le risse di un partito ormai disabituato a trovare vie di sintesi ai propri problemi.
Cicchitto ha dichiarato di preferire una “separazione consensuale” ad una “finta unità”. Ci eravamo già permessi di suggerirlo in omaggio ad un intramontabile principio politico per il quale se due posizioni diventano tra loro irriducibili, è meglio dividerle con il filo spinato che tentare di rabberciarle col filo di cotone.
Le fazioni in lotta sono prossime a dichiarare la propria reciproca irriconducibilità alle ragioni dell’altro. Ma prima di farlo, hanno il dovere di esperire un estremo tentativo di riconciliazione di fronte all’unico elemento unificante tuttora riconosciuto: Berlusconi. La prova, però, è proibitiva anche per lui. E si capisce. Forza Italia prima ed il Pdl “de-aennizzato” oggi non si sono mai preoccupati di trovare le ragioni dello stare insieme in affinità elettive di matrice culturale, politica, programmatica. Per la verità, uno sforzo in tal senso fu fatto nella stagione dei “professori” e nella fase di gestazione del partito unico. Tracce di alcune felici e brillanti intuizioni circolano ancora ed è possibile rinvenirle in occasione di seminari, convegni e summer school, ma esse non hanno mai valicato una ristretta cerchia di iniziati, trattati spesso con sufficienza e guardati ancor più spesso con diffidenza. Le idee, le analisi, gli approfondimenti culturali – del resto – servivano a poco. A tenere insieme la baracca e a scaldare i cuori dei fedeli provvedeva egregiamente il carisma del leader.
Va da sé che questa condizione di falsa autosufficienza conteneva già una precisa scelta politica. L’unico destinatario del messaggio era infatti l’elettorato del partito e non anche l’élite della nazione. Che tradotto vuol dire molta propaganda e poca politica. Una seconda conseguenza è che chiunque si poneva fuori dal perimetro d’irradiazione del carisma del leader era privato della dignità politica e tacciato di tradimento. I nomi li conosciamo tutti ed é inutile ripeterli. Infine, significava nascondere la cenere sotto il tappeto nelle questioni interne. E qui siamo ai giorni nostri.
È fin troppo evidente che di cenere se n’è accumulata fin troppa e ora non si sa come raccoglierla né come smaltirla. Lo ignora persino il leader al quale non resta che mettere sul piatto il proprio carisma e la mozione degli affetti sebbene il primo non sia più quello di un tempo (l’attuale situazione di quasi non ritorno ne è indiretta conferma) e la seconda non sia mai stata praticabile. Occorre davvero ben altro per impedire ad un’area politica che solo ieri raccoglieva percentuali da capogiro di essere spazzata via da questioncelle domestiche e per giunta senza lasciare traccia.
È forse venuto il momento per Berlusconi di riposizionare la sua intensa vicenda personale (cioè politica alla luce della sovrapponibilità in lui del dato pubblico e di quello privato) in quel tessuto istituzionale che la sua condizione di outsider del Palazzo gli ha sempre imposto di guardare con diffidenza ricevendone in cambio ostilità e disprezzo.
Il protagonista assoluto di vent’anni di politica è pronto ad espiare la pena che gli è stata comminata con l’affidamento in prova ai servizi sociali. Ulteriori vicende giudiziarie, intanto, incombono. Per chi è davvero italiano senza offuscamenti di fazione, tutto ciò non può che causare dolore. In quelli di centrodestra provoca anche più di un rimpianto.
Berlusconi, tuttavia, ha ancora la possibilità di uscire da gigante. Lo faccia dimettendosi prima del voto del Senato sulla sua decadenza. Non dia ascolto a chi tenta di abbagliarlo con giochi di prestigio tra truppe renziane e sabotatori grillini. Non è il momento dei giochetti, delle tattiche dilatorie o delle mandrakate. Offra invece il petto ai suoi volenterosi aguzzini non senza aver prima spiegato come e perché nel suo gigantesco ed irrisolto conflitto d’interessi siano in realtà tuttora racchiuse le libertà di tantissimi italiani. È probabile che in questo modo anche i suoi detrattori internazionali si convinceranno ad approfondire meglio le anomalie italiane. Spetterà poi ad altri, se ne saranno capaci, trasformare un testamento politico nella pietra angolare su cui fondare una nuova speranza per il Paese.

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