C’è un “Priebke americano” di cui nessuno parla. Ordinò il bombardamento su Gorla: 614 morti

24 Ott 2013 12:14 - di Giampaolo Rossi

C’è un Priebke americano che nessuno conosce, nessuno ha mai perseguito né in vita, né dopo la sua morte (semmai sia morto perché di lui non si sa nulla). Probabilmente non ha mai subìto oltraggi e sicuramente ha terminato la sua carriera militare con medaglie ed onori. Il Priebke americano fu colui che diede ordine di buttare un intero carico di bombe da 220 kg ciascuna, sul quartiere milanese di Gorla, il 20 ottobre del 1944. La guerra era nel pieno del suo orrore. Quella mattina, su ordine del colonnello James Knapp, 36 quadrimotori del 451° gruppo dell’Air Force di stanza in Puglia partirono per unirsi ad altri 65 bombardieri americani per la più imponente operazione dal cielo nel nord Italia. Obiettivo: Milano e le fabbriche lombarde del settore meccanico (Alfa Romeo, Breda, Isotta Fraschini) che, secondo gli informatori americani, lavoravano a pieno ritmo per l’industria bellica tedesca. Ma un errore di 22 gradi nell’angolazione della rotta compiuto dal comandante della squadriglia portò il gruppo fuori target. Gli americani dovettero rinunciare alla missione e decidere per il rientro alla base; e qui si manifestò quello strano e orribile gusto che la guerra ha di annientare l’umanità degli uomini. Essendo stato innescato il carico di bombe, bisognava liberarsene e, senza un’apparente spiegazione, il comandante americano decise di scaricarlo sopra il quartiere civile di Gorla, dove non c’erano obiettivi né militari né industriali, nulla che potesse giustificare una scelta così criminale. Fu un inferno.

Una bomba centrò la scuola elementare del quartiere. Erano le 11.25 di una limpida mattina autunnale. 148 bambini, le loro maestre, i bidelli, furono dilaniati; con loro, molti genitori che al suono delle sirene erano corsi verso la scuola per portare via i loro figli; di bambini se ne salvarono solo 3. In tutta Milano quel giorno furono uccisi 614 civili inermi. Di questa memoria rimane poco: un monumento nel quartiere eretto dalla pietà degli abitanti, un sito internet artigianale (piccolimartiri.it) e 5 minuti di un documentario de La Grande Storia che realizzò la Rai, struggente nel racconto dei sopravvissuti. E rimane qualche foto: la scuola distrutta, i giovani soldati della Rsi e i pompieri che scavano tra le macerie e l’immagine terribile dei bambini raccolti in fila all’obitorio, così incredibilmente identica alle immagini dei corpicini dei bimbi siriani uccisi dai gas ad Aleppo.

In questi giorni in cui la morte di Priebke ha riaperto la ferita dell’orrore nazista, ci è stato chiesto di non dimenticare. È giusto. La memoria è come il cuore: va tenuta allenata. E per Priebke l’abbiamo fatto. Quella sua ostinata arroganza nel “rimanere fedele” ai suoi ideali era solo una rimozione comoda attraverso cui un uomo debole è riuscito a sopravvivere per 80 anni agli incubi di un orrore commesso. Molti ufficiali, in ogni tempo e in ogni guerra, dovettero eseguire ordini infami che andavano contro il loro onore e contro l’umanità che un soldato dovrebbe sempre difendere. Alcuni si rifiutarono e forse per questo furono uccisi: quelli furono eroi. Molti altri li eseguirono violentando onore e coscienza; e non c’è ideale in questo. Perché per un ideale si muore da innocenti, non si uccidono innocenti. Ora però non dimenticate voi i bimbi di Gorla e non rimuovete con l’alibi della ragione e del torto, del vincitore e del vinto, della democrazia e della dittatura, quella che è la verità : e cioè che il “liberatore americano” che dall’alto del suo aereo compì la strage, è peggio di Priebke. Lui non ricevette ordini e non rischiava il plotone d’esecuzione per un eventuale rifiuto. Lui rinunciò alla sua umanità con una scelta libera. Non dovette guardare i volti degli innocenti che uccideva, gli bastò spingere un pulsante da 10.000 metri. Priebke la sua viltà l’ha pagata con l’ignominia e la vergogna. Lo sconosciuto comandante americano, no.

 

 

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