Le crisi parallele del centrodestra e del centrosinistra. Un sistema bloccato e incapace di rinnovarsi

20 Set 2013 10:21 - di Gennaro Malgieri

Sembra, a dare ascolto ai sondaggisti, che nanche il marchio di Forza Italia funzioni. Non ha appeal dicono, mentre l’inaugurazione della nuova sede del rinnovato partito sembra sia stata un mezzo flop. Che cos’è che non va, dunque? Probabilmente non basta un restyling, per ridare smalto ad un partito che si riteneva superato nel 2007. Nuove sintesi all’epoca erano all’orizzonte, poi finite male perché male concepite da parte di tutti coloro che s’ingegnarono nel dare vita ad un “fusionismo” all’amatriciana. Adesso Forza Italia, nelle speranze di Berlusconi e di coloro che l’hanno assecondato, dovrebbe riportare il centrodestra agli antichi fasti,  ritorna non come il leader aveva immaginato. Operazione del resto difficile, improbabile, inevitabilmente deludente dicono coloro che hanno sondato il simbolo vintage. Non scalda i cuori, insomma. Ed il rischio è che mandato in soffitta il Pdl ed  una destra alle prese con tentativi di ricomposizione che difficilmente, per come stanno le cose, possono riuscire se non si non si mettono da parte vecchie e nuove idiosincrasie, il centrodestra rischia di non riuscire a rimettersi in piedi per come si sperava all’indomani delle elezioni.

Non è che dalla parte opposta stiano meglio. Il Pd vive una crisi che soltanto le vicende politico-giudiziarie di Berlusconi hanno fatto passare in secondo piano negli ultimi mesi. In vista della definizione delle regole e delle modalità di svolgimento delle primarie e dei congressi per l’elezione del nuovo segretario, le fibrillazioni aumentano d’intensità giorno dopo giorno. Stupisce che più che un dibattito politico vero e proprio si consumi tra i dirigenti una querelle dopo l’altra su materie regolamentari scarsamente appassionanti, ma non prive di senso in vista della conquista del potere nel partito.

Il tesseramento non va, hanno fatto sapere a Epifani i vari Barca, Civati, Puppato, Casson, Bettini, la Serracchiani, tutti contro la segreteria dei Democratici. La quale non sembra ben vista neppure da Renzi, la vera “bomba” che in tanti vorrebbero disinnescare, ma se si dovesse andare alle elezioni in tempi brevi dificilmente ci si riuscirebbe. E con il sindaco di Firenze segretario del partito cambierebbe la geografia del Pd: in molti temono una scissione tanto è il divario tra Renzi e buona parte della nomenklatura, soprattutto di provenienza Ds.

La nuova polemica, portata avanti dagli esponenti citati, rivela il disagio di quanti credono che la mancanza di una vera e propria campagna per il tesseramento sia il modo più semplice ed indolore per lasciare le cose come stanno, cioè ibernare gli assetti e controllare gli iscritti in vista del congresso, mentre i promotori dell’appello vorrebbero aprire il partito all’esterno. Un’insanabile frattura, insomma, che denota la paura di chi controlla il partito e non vuole farselo scippare e la volontà di quanti, al momento all’opposizione, vorrebbero poter aver la possibilità di scardinare un sistema chiuso ed aprilo agli apporti nuovi.

Tra un centrodestra che non si ritrova ed un centrosinistra che sembra sbiadire anche di fronte alle difficoltà del primo, Letta giura fedeltà, un po’ pateticamente bisogna ammettere, a chiunque diventerà segretario del Pd. Lodevole dal punto di vista dell’eleganza politica, ma siccome nessuno gli aveva chiesto di farlo, del tutto superfluo e perfino dannoso: c’è chi pensa che sia sia voluto cautelare nei confronti di chicchessia in modo da arrivare alla inevitabile crisi con le carte in regola per ritrovarsi in pole per la corsa a Palazzo Chigi.

Uno scenario non esaltante, come si si vede. Dal quale si evince che i poli sono ormai disfatti e la colpa non è del bipolarismo, ma da chi ha immaginato degli assembramenti senza rinnovare le culture politiche di provenienza ed evitando accuratamente di modernizzarsi.

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