La sinistra sogna Berlusconi appeso a un albero. Ma ora teme la “mossa del cavallo”

7 Set 2013 15:56 - di Silvano Moffa

La mossa del cavallo. Tutti sono in attesa della mossa del cavallo. Nel gioco degli scacchi è l’arma sapiente che il giocatore utilizza per spiazzare l’avversario. Passando dalla difesa all’attacco. A volte il gioco riesce e la partita si riapre. A volte no, e allora il gioco si mette male. Neppure  l’arrocco , estrema riserva difensiva che nasconde il re all’ombra della torre,  a quel punto mette al riparo dal rischio di scacco matto. La partita tutta politica, che si sta giocando  in queste ore sulla sorte di Berlusconi e sui destini congressuali del Pd, somiglia molto a una partita di scacchi. Con l’aggravante che in questo caso vincitori e vinti, ammesso che ci siano, dovranno fare i conti con un  paese sempre più spaesato e frastornato, oltre che ridotto a pezzi dalla crisi. Perché la crisi si sente e non è finita affatto. Gli annunci  mielosi del premier Enrico Letta sui segnali di ripresa lasciano il tempo che trovano. Non che qualche elemento positivo non si scorga all’orizzonte, per carità. Ma è talmente flebile il venticello che spira, che pensare ad una nave Italia finalmente in grado di solcare i mari aperti e tumultuosi della competizione globale a vele spiegate, ci sembra  esercizio di pura fantasia. Tanto per restare con i piedi per terra, La Cgia di Mestre ci fa sapere che nell’anno corrente la pressione fiscale raggiungerà il 44,2% del Pil: un record mai toccato in passato, ben 12,8 punti percentuali in più rispetto al 1980. Ciò vuol dire che, in termini assoluti ciascun italiano , compresi bambini ed ultracentenari, verserà quest’anno al fisco, tra tasse, imposte e contributi, una somma pari a 11.629 euro: ben il 120% in più di quanto abbiamo pagato nel 1980. Il dato impressiona maggiormente se si pensa che, in poco più di sei lustri, il gettito fiscale e contributivo è passato da 63,8 miliardi di euro agli attuali 694 miliardi. L’enorme, insopportabile pressione fiscale non è, come è ovvio, l’unico problema che angoscia gli italiani. Tra disoccupazione galoppante, soprattutto giovanile e femminile, chiusura di opifici industriali e di esercizi commerciali, trasferimento all’estero dei nostri migliori marchi, aumento delle ore di cassa integrazione, bollette che imperversano e caro libri per le scuole, gli italiani non sanno a quale santo votarsi. Così, la telenovela politica, nella sua estenuante ripetitività, rischia di esaurire la residua scorta di pazienza  in dote al popolo sovrano. Messi da parte per un momento i dati micro e quelli macro della economia, torniamo ai fattori che agitano la politica in queste ore.  Nella partita a scacchi che riguarda Berlusconi, appare ormai del tutto svanita l’idea che il condottiero del centrodestra sia salvato dalla sinistra. Semmai c’è da chiedersi come sia stato possibile, nel Pdl, credere a una cosa del genere. In una intervista , l’ex ministro Gelmini lascia intendere che il tema della pacificazione tra due schieramenti opposti poteva e doveva essere sperimentato proprio sul terreno del salvataggio del  Cavaliere dalle grinfie di una giustizia ingiusta e politicizzata. Solo che qui siamo, in verità, al cospetto di una sentenza di condanna. Una occasione troppo ghiotta per chi, a sinistra, da un ventennio coltiva la speranza di veder il Cavaliere impiccato a un albero, con la testa in giù. Non essendo riuscita nell’intento di abbatterlo con il voto, si adagia adesso voluttuosa, pregustandone la fine per mano giudiziaria. Evitiamo di entrare nel merito della complessa e spinosa questione di cui da lunedì discuterà la Giunta del  Senato per decretare o meno la decadenza di Berlusconi da senatore. Ne abbiamo già scritto, e abbiamo  anche letto di tutto in questo mese di agosto. Tesi pro e contro, che la dicono lunga sullo stato  del diritto nel nostro Paese, che definirlo precario è davvero un gran bel eufemismo. Visto, però, che abbiamo evocato all’inizio la mossa del cavallo, non è escluso che, in zona cesarini, spunti  una novità a rimettere tutto in discussione. Sta filtrando in queste ore l’ipotesi di un possibile ricorso dell’ex presidente del Consiglio con l’obiettivo di ottenere addirittura la revisione del processo Mediaset. Ipotesi tutt’altro che peregrina, dal momento che alcune carte svizzere, mai acquisite al dibattimento, dimostrerebbero che Frank Agrama – uomo chiave nel processo che ha condannato Berlusconi – non sarebbe affatto il socio occulto di cui si è finora parlato nel commercio dei diritti televisivi. Non socio occulto dunque, ma intermediario a tutti gli effetti: intermediario ufficiale ed esclusivo tra la Paramount e molte tv europee. Non possiamo sapere, evidentemente, se questo sia  vero e, ove lo fosse, cosa decideranno i giudici. Ma se così dovesse essere, e se i giudici dovessero confermare tale ipotesi, sia la pena che la decadenza dovrebbero essere sospese. La mossa del cavallo, almeno per un frangente, bloccherebbe lo scacco al re. A muovere il destriero all’attacco, sul versante del Pd, è invece Massimo D’Alema. Il leader maximo non si smentisce e al giovane Renzi non le manda a dire. Una lezione di  scuola politica,  la sua. «Non ha idea di che cosa significhi dirigere una forza politica», ha esclamato. E siccome sono in molti a correre sul carro del vincitore, dice che c’è un limite alla dignità. Artigli affilati, bordate pesanti  per i Letta e i Franceschini. Così anche sulla scacchiera del Pd si muove il cavallo. C’è da chiedersi se il cavallo sia ancora di razza oppure un  mulo  imbolsito.

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