Che cosa fare? Il Pd e il Pdl chiamati a uscire da un viottolo sempre più stretto

4 Set 2013 17:43 - di Oreste Martino

Le larghe intese tra Pdl e Pd hanno imboccato in questi giorni un viottolo stretto, talmente stretto da poter far uscire fuori strada tutti e due i partiti che sostengono il governo guidato da Enrico Letta. Entrambi i partiti si trovano in una situazione complessa e qualsiasi decisione prenderanno da qui alla riunione della Giunta per le elezioni del Senato di lunedì prossimo avrà delle conseguenze interne ed esterne. Il Partito democratico sa bene che per tenere in vita il governo deve garantire tempo a Berlusconi, favorendo il ricorso alla Corte costituzionale ipotizzato da più giuristi e, soprattutto, dall’ex presidente della Camera Luciano Violante. È evidente che questa sarebbe una soluzione ragionevole sia dal punto di vista giuridico, visto che il problema dell’interpretazione della retroattività della Legge Severino esiste, sia politicamente, perché metterebbe al riparo il governo. Se poi nelle more a far decadere Berlusconi dovesse essere l’interdizione confermata dal nuovo processo d’appello e da un ulteriore passaggio in Cassazione il Pdl certo non potrebbe prendersela con il Pd e con il governo.

Se questa appare come la strada più logica, è però anche la più pericolosa per il partito di Largo del Nazareno. Salvare Berlusconi, o dare soltanto l’impressione di farlo, potrebbe infatti essere elettoralmente letale per il Pd, che pagherebbe un altissimo prezzo nelle urne a favore di Grillo e dello stesso Cavaliere che grazie all’emorragia verso i Cinque stelle potrebbe ottenere il premio di maggioranza alla Camera. Ecco perché il viottolo è stretto per il Pd, che per salvare il governo deve aiutare Berlusconi perdendo voti e che se invece accelera sulla decadenza perde il governo salvando il partito.

Altrettanto stretto è il viottolo per il Pdl. Se il partito del Cavaliere ritira la delegazione di governo e riesce ad ottenere le elezioni rischia una campagna elettorale con Matteo Renzi sulla cresta dell’onda, Berlusconi non candidabile e la mancanza di un candidato premier credibile e con un appeal paragonabile a quello di Renzi. L’alternativa è convincere Berlusconi a dimettersi dal Senato, accettare la sentenza, andare qualche giorno agli arresti domiciliari e poi ottenere la grazia presidenziale che commuta la pena in una sanzione pecuniaria. Questa soluzione salverebbe il governo, darebbe respiro alla Borsa, aiuterebbe non poco le aziende della galassia di Arcore, ma segnerebbe il ritiro politico del Cavaliere, che da combattente qual è vuole vincere o perdere sul campo di battaglia politica. In questo caso, inoltre, sarebbe difficile prevedere il futuro del Pdl o della rinata Forza Italia senza il Cavaliere in campo e con l’esasperarsi della lotta tra “falchi” e “colombe”, con l’oggettivo rischio di una scomposizione del centrodestra. Ecco perché il viottolo che devono percorrere i due pilastri della politica italiana è stretto e si ha l’impressione che qualsiasi scelta faranno i vertici il momento del Big bang della cosiddetta Seconda Repubblica comunque si avvicini.

Il tutto mentre la Borsa di Milano è l’unica in Europa a perdere punti, il Pil di tutti i paesi del G7 cresce tranne quello italiano e la presidenza nostrana del semestre europeo si avvicina. Un contesto complesso e difficile per affrontare quella che ormai appare una inevitabile crisi di sistema.

 

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