Wikileaks, il soldato-talpa Manning condannato a 35 anni di reclusione

21 Ago 2013 17:11 - di Giovanni Trotta

Bradley Manning, il militare americano di 25 anni reo confesso di essere la “talpa” di Wikileaks, è stato condannato a 35 anni di carcere. La sentenza è stata emessa dalla Corte Marziale di Fort Meade, che ha ridotto la richiesta del Procuratore di 60 anni. La difesa aveva chiesto 25 anni di detenzione. Per le sue colpe rischiava un massimo di pena di 90 anni. Assieme alla condanna di 35 anni, la Corte ha sentenziato anche che Manning viene cacciato “con disonore” dalle Forze Armate. Solo dopo circa 10 anni di carcere, cioè un terzo della pena, Manning potrà godere di sconti di pena. Alla condanna di 35 anni dovranno essere tolti i circa 3 anni, esattamente 1293 giorni, che ha già scontato. L’accusa era stata molto dura: «Manning ”merita di trascorrere la maggior parte della sua vita in carcere». Il procuratore militare, Loe Morrow, ha sostenuto che probabilmente non c’è mai stato alcun militare nella storia che abbia mostrato un disprezzo così estremo per gli interessi americani. Il soldato-talpa è stato riconosciuto colpevole di 20 capi di accusa, di cui sette nell’ambito dell’Espionage Act, ma ha scampato l’accusa più grave, quella di aver aiutato il nemico. Le azioni di Manning, ha ritenuto il giudice, hanno messo a grave rischio di Stati Uniti, creato problemi alle missioni diplomatiche e messo a rischio la vita di civili e soldati. Manning, 25enne nato in Oklahoma, ha scaricato e passato a Wikileaks 700.000 documenti quando lavorava come analista di intelligence in Iraq nel 2010. Il soldato, in tribunale, ha chiesto scusa per aver danneggiato il suo Paese e, al giudice, ha chiesto di concedergli la possibilità di andare al college e di tornare a essere un buon cittadino. Durante il processo la sua famiglia e il suo psicologo hanno testimoniato in suo favore, mettendo in evidenza che Manning era sotto una forte pressione a causa di una forma di depressione causata dall’essere un gay nell’esercito durante l’era cosiddetta «don’t ask don’t tell».

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