Pechino lancia l’anatema contro i “sette peccati capitali” dell’Occidente

20 Ago 2013 19:08 - di Redazione

Era da tempo che non c’era un dibattito politico-filosofico tra i due grandi blocchi mondiali, comunista e capitalista (o almeno quello che ne è rimasto). Ma è la Cina popolare a rilanciare il dibattito sopito: i leader del Partito Comunista cinese mettono infatti in guardia contro «i sette pericoli» che incombono sulla società (perfetta) cinese, tutti ovviamente riconducibili alla cultura occidentale. Si tratta del neo-liberalismo pro-mercato, del valore universale dei diritti umani, della democrazia costituzionale Occidentale e delle critiche nichiliste al «glorioso» passato del partito. Le sette “correnti sovversive” da sradicare sono contenute in un dossier segreto, dal nome Documento n. 9, che porta l’approvazione ufficiale del presidente cinese Xi Jinping, la cui figlia, per inciso, studia ad Harvard. Lo rende noto il New York Times in un articolo dal titolo «La Cina prende di mira le idee occidentali». Nel documento, entrato chi sa come in possesso del New York Times, si legge: «Le forze occidentali ostili alla Cina e i dissidenti si infiltrano costantemente nella nostra sfera ideologica». Il memorandum è stato diffuso in aprile e da allora – mette in evidenza il quotidiano americano – si sono intensificati gli sforzi del governo cinese per bloccare ogni possibile dissenso, soprattutto se espresso online. Non a caso due militanti a favore dei diritti umani sono stati arrestati nelle ultime settimane. Anche se Xi si sta impegnando a portare avanti riforme per aprire l’economia cinese a una maggiore influenza del mercato, osserva il Times, «allo stesso tempo sta avviando una campagna per rafforzare l’autorità del partito che va al di là dei consueti richiami alla disciplina. La messa in guardia di Xi all’interno del partito – scrive il Times – mostra come la sua credibilità pubblica sia minacciata dalla paura che il partito sia vulnerabile dal rallentamento economico». Inoltre, sembra chiaro che Xi lanci una campagna ideologica, un po’ vecchia maniera, per individuare un nemico esterno. Una mossa propagandistica forse per far fronte all’irritazione dell’opinione pubblica cinese scossa dai continui casi di corruzione politica e replicare alle sfide poste dai progressisti, impazienti di vedere un reale cambiamento politico a favore delle riforme. Il giornale newyorkese racconta che il numero due del potente ufficio propaganda del Pc cinese, Cheng Xinping, ha riunito alcuni alti vertici dell’industria mineraria, per spiegare loro che «dietro la promozione della democrazia costituzionale di stampo occidentale c’è il tentativo di negare la leadership del partito». E che l’obiettivo finale dei difensori dei diritti umani è «creare una forza politica per dar vita allo scontro». Tuttavia, questa campagna anti-occidente rischia di mettere in difficoltà proprio la leadership del suo promotore, Xi: è noto infatti che i sostenitori delle sue riforme economiche più filo-occidentali, vedono con favore una maggiore apertura del sistema politico verso uno stato di diritto. Di contro, l’ala più tradizionalista, più lontana dall’approccio di Xi, vorrebbe invece che si mantenesse fortissimo lo stretto controllo del partito sulla vita politica ed economica. Sinora Xi ha cercato di ottenere l’appoggio di ambedue queste due anime. Tuttavia, come osserva il Nyt, diversi analisti pensano che prima o poi la sua agenda politica rischia di essere frenata dallo scontro interno al partito.

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