Nel segno dell’amicizia e del coraggio il nuovo romanzo di Gabriele Marconi

30 Ago 2013 19:12 - di Marco Valle

L’amicizia virile è un sentimento sano e profondo che attraversa il tempo e supera ogni incrostazione, un idem sentire robusto che si beffa delle contingenze e resiste alle burrasche della vita. L’amico — quello vero, quello che non ti tradisce e non ti delude — può scegliere strade diverse dalle tue, incontrare donne che non apprezzi o innalzare bandiere che non ami, poco importa. Ciò che conta, ciò che è importa, ciò che ha valore (e quindi non ha prezzo), è altro. Ben altro.

Spesso è il non detto. Per capirsi, tra uomini, basta uno sguardo, una stretta di mano. Una sigaretta. Un cenno. Il mondo delle parole appartiene all’universo femminile, il silenzio con i suoi significati remoti è tutto degli uomini.  Aristotele lo  aveva compreso già secoli fa; ne “l’Etica Nicomachea” il filosofo di Stagira ricordava che «l’amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé; quindi la loro amicizia dura finchè essi sono buoni e la virtù è stabile». La virtus di Seneca e Marco Aurelio.

Concetti, idee forti che rimbalzano, nella classicità, dalla filosofia all’epica e s’inoltrano poi nelle chansons des gestes sino ad approdare, in tempi ultimi, al grande cinema. Qualche esempio: «Un amico serve quando hai torto, quando hai ragione non serve a niente» avverte il protagonista di un Mercoledì da leoni; «sai cos’è un amico? È uno che ti conosce a fondo e nonostante ciò ti vuole bene» aggiunge Al Pacino in “Profumo di donna”; «abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo… anch’io la penso così, e così che concepisco l’amicizia» ricordano, prima della mattanza finale, gli stanchi eroi de Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah.

Atmosfere, pensieri difficili, inattuali — e, per molti, persino disturbanti in questo tempo liquido e terribilmente superficiale — che ritroviamo pienamente nel nuovo (bel) lavoro di Gabriele Marconi Fino alla tua bellezza. L’autore, proseguendo il percorso aperto nel suo libro precedente Le Stelle danzanti, propone nuovamente l’amicizia virile — il momento centrale, come insegnano Conrad e Chandler, del romanzo d’avventura — come fattore dominante, nodale del lungo racconto. Una scelta deliziosamente eterodossa.

Ecco allora Fino alla tua bellezza: dopo aver narrato ne “Le Stelle” la ventura fiumana attraverso gli occhi dei legionari di D’Annunzio — un affresco colorato, passionato quanto storicamente preciso della magmatica esperienza adriatica — , Marconi sceglie d’indagare un altro momento alto e tragico del Novecento: la guerra civile spagnola, un impasto di crudeltà ed eroismi, di sadismo e nobiltà.

Lo scrittore romano incastona i suoi eroi, invecchiati ma non domi — forse un omaggio a Vingt ans aprés d’Alexandre Dumas? —, nel fango di Guadalajara, il 16 marzo 1937. Non casualmente. Pochi giorni prima i volontari fascisti italiani del CTV si erano scontrati duramente con i repubblicani. Ben organizzati e, grazie i carri sovietici T26, meglio armati, i “rojos” costrinsero gli uomini del generale Roatta (non proprio un Napoleone…) a ripiegare d’alcuni chilometri. Nulla di grave in quella stramba guerra che sembrava mai finire, ma a Guadalajara combatterono anche le Brigate internazionali e, con loro, gli antifascisti italiani. In prima linea. Italiani contro italiani. Da qui, per la repubblica di Madrid, il mito, l’enfasi. Per i franchisti e Roma, l’imbarazzo.

Ma accanto allo stalinista triestino Vittorio Vidali — comandante del V° reggimento e agente moscovita di livello, una figura interessante e opaca che Marconi, purtroppo, trascura —, con i “madrileni” vi erano anche mazziniani (con Pacciardi), socialisti (con Nenni), anarchici e antichi legionari fiumani insofferenti della “nuova Italia” mussoliniana. Da qui l’inizio dell’avventura.

Tra una fucilata e l’altra, Giulio e Marco, ufficiali del CTV, sono contattati da David, ex ardito, vecchio dannunziano ma ora socialista e repubblicano. Un nemico. Poco importa. In nome dell’antica amicizia, dei ricordi di ieri e di un legame profondo quanto razionalmente inspiegabile  — l’idem sentire, le idee senza parole —, David chiede ai due fascisti di attraversare le linee per salvare un altro fiumano, Alessandro “Dado”, anarchico, antifascista, loro nemico dichiarato, aperto, ma anch’egli, un tempo, milite dell’”Orbo vate”.

L’autore è preciso. Convinti del successo finale dopo la “gloriuzza” (restiamo nel lessico dannunziano…) strappata sul campo, i comunisti — ormai forza egemone del fronte antifascista — decisero di “purgare” le fila dell’esercito repubblicano. Per gli stalinisti il primo obiettivo divennero le milizie operaie del POUM e gli anarco sindalisti della CNT. Nel maggio del ’37 — come narrò con lucida disperazione George Orwell nello splendido Omaggio alla Catalogna —  i filo sovietici annientarono gli oppositori interni. Senza pietà. “Dado”, l’anarchico “fiumano”, è nella lista. Per i “moscoviti” va eliminato. Ma per Giulio e Marco è sempre — come Lord Jim per Conrad — “uno di noi”. Quindi…

A questo punto Marconi ci trascina in un’anabasi “behind the enemy lines”, un viaggio picaresco attraverso una guerra civile spietata, feroce. Pagina dopo pagina il lettore avvertito ritroverà, intrecciate con cura e mestiere, le atmosfere cupe dei reportage hemingwaiani raccolti in Quinta colonna, la pietas di Virgilio Lilli (si leggano gli splendidi Racconti di guerra editi da Sellerio), i colori e le speranze che illuminano Les Sept couleurs — a cui lo scrittore rende omaggio in modo brillante e un po’ birichino — di Robert Brasillach.

Nella seconda parte del romanzo Gabriele Marconi ci porta in Africa Orientale Italiana, all’indomani della conquista del fragile impero mussoliniano. Lì, dai tempi di Fiume, vi è qualcosa d’irrisolto. Vi sono impegni da rispettare, una promessa da mantenere. Una donna da rivedere. Giulio lo sa e parte. Da solo.

Grazie agli amici di Ala littoria, il protagonista marconiano s’inoltra oltre Massaua e giunge — incursione letteraria sorprendente quanto piacevole — nelle inospitali terre del maggiore Morosini e del suo creatore, Giorgio Ballario, il maestro del giallo coloniale italiano. Ma anche in terra d’Africa le sorprese, spesso amare, non mancheranno; alla fine del lungo pellegrinare tra le “ambe”, avamposti, teleferiche e missioni, ogni conto verrà saldato, rendendo “possibile un nuovo inizio”.

Fino alla tua bellezza è un romanzo importante, forse non perfetto ma certamente originale. La storia, supportata da una densa ricerca, è avvincente, a tratti epica ma mai retorica, la tensione regge e cattura il lettore. I personaggi, nonostante qualche legnosità nei dialoghi e qualche forzatura, hanno spessore psicologico e consistenza e sono ben lontani da rappresentare maschere ideologiche o riflettere icone letterarie. Ma, soprattutto, in tempi di letture minimaliste e/o ombelicali, Marconi ci ricorda che gli uomini di valore — i pochi, i veri, gli happy few — sapranno sempre ritrovarsi, riconoscersi. Rispettarsi. Un avvertimento prezioso.

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