La via della Consulta è la sola che può evitare il caos. Il Pd e Letta ci riflettano prima che sia troppo tardi

23 Ago 2013 13:58 - di Gennaro Malgieri

Non si capisce per quale motivo il Senato – ha poca importanza se per iniziativa della Giunta delle elezioni o dell’Aula – non debba ricorrere alla Consulta per un giudizio di legittimità sull’applicazione della legge Severino nella parte riguardante il profilo della decadenza intervenuta dopo una sentenza definitiva. Si dice che soltanto un giudice potrebbe sollevare la questione. E infatti l’organo parlamentare che si accinge ad esaminare il problema è a tutti gli effetti un giudice, non perché così vuole una consolidata interpretazione o addirittura la prassi costante, ma perché nel caso di specie ha tutte le prerogative, come la legge prescrive, della magistratura sia per ciò che concerne l’acquisizione delle prove documentali, sia per i poteri inquirenti, sia per le decisioni che penalmente impattano sull’imputato che viene giudicato autorizzando la carcerazione o la stabilendo la decadenza dal mandato. In altre parole, il Senato deve “deliberare”, come prescritto, secondo un convincimento giuridico e politico che, dunque, esclude l’automatismo che in tanti, soprattutto nel Pd, invocano come conseguenza della condanna passata in giudicato.

Ci sono dubbi al riguardo? Come in tutti i casi in cui vengono ravvisate incertezze i giudici adiscono la Corte costituzionale perché sbrogli la matassa. È davvero singolare che nei confronti di Berlusconi non si provi neppure a ottenere la certezza che l’atto da compiere sia legittimo, contraddicendo, tra gli altri, un giurista di grande valore, non certo simpatizzante del Cavaliere, come il presidente emerito della Consulta Valerio Onida il quale sul Sole 24 Ore è stato categorico: «Non è decisiva l’obiezione secondo cui il Parlamento, se ritiene incostituzionale una legge, la cambia e non si rimette alla Corte costituzionale. Infatti in questa sede il Senato non è chiamato a legiferare, ma ad applicare la legge come giudice: in quanto tale ha, come tutti i giudici, il potere-dovere di rimettere alla Corte i dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale della legge che si accinge ad applicare». Più chiaro di così…

Ma se non bastasse, il giovane penalista Nicola Madia, tra i più brillanti del foro romano, interpellato dal Giornale, ha contestato che la misura da applicarsi a Berlusconi sarebbe di carattere amministrativo e dunque non soggetta all’irretroattività propria delle norme penali, ricordando le sentenze della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, cogenti per l’Italia almeno dal 2007, secondo le quali «tutte le misure afflittive, per esempio la confisca dei beni e addirittura la perdita dei punti sulla patente, al di là dell’etichetta, hanno una natura penale e non amministrativa. Dunque non possono essere applicate retroattivamente».

Se così stanno le cose – e i membri della Giunta delle elezioni lo sanno bene – perché si vuole giocare una partita allo sfascio profittando di una legge enigmatica quanto meno, rifiutando di investire del caso la Consulta? la posizione processuale di Berlusconi non cambierebbe. L’interdizione è modificabile, ma non irrevocabile, le conseguenze della sentenza della Cassazione restano integre: dunque, questo accanimento come si spiega? Domanda retorica. Il motivo è tutto politico. Ed il Pd spera di lucrare, pur stando al governo insieme con il Pdl, consensi da questa kafkiana vicenda, senza neppure sospettare che ancora una volta, come è accaduto negli ultimi vent’anni, facendosi strumento di un assurdo giustizialismo. oltretutto autolesionistico, andrà a sbattere contro un muro. Non possono non sapere Letta ed Epifani che se verrà votata la decadenza senza esperire la sola misura che può dare certezza sulla legittimità della norma, il governo si dissolverà in un momento. Dopo non c’è un altro governo di pacificazione, ma più facilmente il caos. E dunque, con tutti i rischi che comporterà, l’inevitabile scioglimento delle Camere. Lo chiede perfino Grillo. Qualcuno lo spieghi all’Europa e non si dimentichi neppure di spiegare che cosa significano i tanti richiami al senso di responsabilità dopo che la si è gettata a mare per motivi squallidamente partitici. O partitocratici, come sarebbe meglio dire.

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