Grillo si iscrive alla casta e abbraccia il “Porcellum”

23 Ago 2013 17:17 - di Mario Landolfi

“S’è svejatooo!”. Ricordate? Nel “Marchese del Grillo”, il nobile papalino immortalato da Alberto Sordi, era questo il segnale di via libera a fabbri, maniscalchi e falegnami a riprendere il lavoro precedentemente interrotto per non disturbare l’aristocratica pennichella del loro padrone e signore. Altri tempi e soprattutto altri Grillo. Ultimamente, anche quello dei nostri tempi era caduto in stato semiletargico dal quale usciva solo per insultare ora il Pdl ora il “Pdmenoelle”, che per lui pari sono a dispetto delle botte da orbi che si stanno scambiando da un mese a questa parte. Ora, però, che ha fiutato aria di burrasca “s’è svejato” pure lui per chiedere le dimissioni di (a prescindere) di Napolitano ed elezioni immediate da celebrare – udite udite! – con il fino a ieri vituperatissimo Porcellum. Dev’essere sembrata un’enormità anche a lui, tanto è vero che ha contestualmente assunto solenne impegno a modificarlo un minuto dopo la scontatissima (per lui) vittoria elettorale dei Cinquestelle. Non c’è male come programma. Peccato, però, che i pochi mesi sin qui trascorsi dalla data delle ultime elezioni politiche abbiano fatto capire a molti italiani, parecchi dei quali suoi elettori per disperata protesta, che sotto l’insulto… niente. “Zeru tituli”, avrebbe sentenziato Mourinho. Zero coraggio nel misurarsi con la sfida del governo, zero fantasia nell’inventarsi qualcosa in grado di scongelare i milioni di voti ottenuti, zero capacità di incunearsi tra le due coalizioni al netto della fallita operazione “Rodotà al Quirinale”.
Non deve perciò stupire più di tanto se forte di così deprimente bilancio, Grillo si erga ora a temporaneo paladino del Porcellum. Lo fa per due motivi, uno confessato nel suo blog e l’altro inconfessabile persino sotto tortura. Il primo, quello confessato, ha molto a che fare con la paura del M5S di misurarsi con il territorio. Che si tratti di preferenza o, peggio ancora, di collegi uninominali dove la personalità del candidato ha un’incidenza ancora maggiore, i Cinquestelle sanno bene che rischierebbero di rompersi le ossa in una competizione che esige radicamento territoriale e credibilità personale. Il secondo, che Grillo non ammetterà mai, ha invece molto a che vedere con la sua fifa blu di trovarsi tra i piedi un sistema di voto in grado di allentarne la presa sugli eletti. Conservando il potere di nomina dei suoi parlamentari, li può controllare molto più agevolmente.
Ed è proprio questo secondo motivo ad aver “svejato” Grillo dal suo torpore e a fargli dire che il Porcellum, almeno per ora, non si tocca. Così da una parte s’intesta la posizione più netta e senza subordinate in caso di crisi di governo, dall’altra spinge i suoi a serrare i ranghi e a non lasciarsi incantare dalle sirene della “responsabilità” anche perché – è il suo messaggio – la legge elettorale non cambierà se il M5S non vuole. Tradotto dal politichese: chi non si allinea, non sarà ricandidato, cioè rinominato.
Sia chiaro: il Porcellum non l’ha inventato Grillo e non è certo l’unico, del resto ad utilizzare in questo modo la legge elettorale. Così fan tutti. Il problema è che lui, Grillo, si era presentato come il profeta del nuovo, il fustigatore della casta dei nominati. Vederlo ora difendere rabbiosamente proprio quella modalità di voto che la casta ha generato, autorizza a sospettare che essa abbia trovato nuovi adepti ed insospettabili sacerdoti. Quasi quasi era meglio che il Grillo continuasse a dormire.

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