Bufera sul giudice di Cassazione che ha condannato Berlusconi: straparla della sentenza poi smentisce

6 Ago 2013 14:38 - di Redazione

Tra i magistrati che amano il dialogo (con i giornalisti) e non si distinguono per riservatezza, da oggi andrà annoverato in cima alla lista Antonio Esposito, presidente della sezione feriale della Cassazione, quella che ha confermato la condanna a Berlusconi per il processo Mediaset. Già accusato dal Giornale di aver parlato pubblicamente male del Cavaliere negli anni scorsi, stavolta Esposito è finito nella bufera per averlo fatto direttamente su un giornale, dopo la sentenza, con un’intervista al Mattino nella quale si lascia andare a giudizi espliciti sulla sua sentenza, confermando i sospetti di “antipatie” antiche nei confronti dell’imputato che si è trovato a dover giudicare. Nell’intervista, poi smentita (ma confermata da quotidiano napoletano), il presidente della Cassazione, parlando del motivo per cui si è giunti alla condanna, spiega: «Tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva, tu non potevi non sapere, perchè Tizio, Caio e Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere». Nell’intervista il magistrato inoltre chiarisce come non ci sia stata alcuna fretta: «C’è un principio generale che attiene allo spirito della formazione della sezione feriale della Corte di Cassazione, questo collegio di giudici serve ad evitare che i processi subiscano la condanna del tempo con la prescrizione», quindi spiega «a me come presidente della sezione feriale non restava altro che fissare la data in tempo non utile ma utilissimo e ravvicinato onde evitare la prescrizione». Ovviamente, appena scoppiata la polemica, il giudice Esposito s’è affrettato a smentire ampi stralci dell’intervista e a sottolineare che lui “parlava in generale”. Poi è arrivata anche l’imbarazzata precisazione della Cassazione: «L’intervista rilasciata dal presidente della sezione feriale della Cassazione, Antonio Esposito non inficia, né cambia la decisione sul processo Mediaset». Ovvio, ma che figura, però.

La reazione del fronte berlusconiano, sia sul piano legale che politico, ovviamente non si è fatta attendere. Gli avvocati di Berlusconi si mostrano scandalizzati: «Ormai di quello che sta accadendo non mi meraviglio più. Se Berlusconi riterrà di dover far qualcosa se la vedrà lui. Certo, normalmente le motivazioni di una sentenza si conoscono con il deposito della sentenza stessa. In genere dichiarazioni in anteprima non si rilasciano», spiega l’avvocato Franco Coppi. «Il fatto in sé è ovviamente gravissimo e senza precedenti. Gli organi competenti dovranno urgentemente verificare l’accaduto che non potrà non avere dei concreti riflessi sulla valutazione della sentenza emessa», dichiara Niccolò Ghedini.

Dal Pdl le reazioni all’intervista sono sdegnate: «Nessuno vuole mettere in discussione il sacrosanto principio costituzionale del manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, tuttavia esistono dei limiti morali e di opportunità che il buon senso, le circostanze e i ruoli impongono», dice la portavoce del gruppo Pdl alla Camera dei deputati Mara Carfagna. «Siamo trasecolati di fronte al fatto che il presidente di una sezione della Cassazione faccia interviste ai giornali e pasticci talmente le cose da essere anche costretto a smentirne alcune parti. Giustamente il senatore Bondi ha ricordato che i giudici dovrebbero parlare solo attraverso le sentenze ma ormai siamo al punto che alcuni magistrati, sapendo che fanno politica con le loro sentenze allora tanto vale che le difendano sui giornali, in televisione, in attesa di poterle difendere in Parlamento», incalza Fabrizio Cicchitto, deputato del Pdl.

Anche dal Csm si levano voci di dissenso, almeno dai membri laici in quota Pdl. «Il presidente di un collegio giudicante parla con atti giuridici, cioé con le motivazioni della sentenza. È certamente gravissimo e inopportuno, che di fronte a un caso così delicato si commenti in prevenzione ciò che è scritto nelle motivazioni», dice il consigliere del Csm Bartolomeo Romano.

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