Tempi stretti per le riforme. Venerdì la bozza in Consiglio dei ministri. Letta alla prese con i nomi dei 25 saggi

4 Giu 2013 10:50 - di Romana Fabiani

È partito il cronoprogramma, così lo chiama la stampa, per scandire i tempi dell’iter per le riforme costituzionali (abolizione del bicameralismo perfetto,  forma di governo e legge elettorale,  per capirci). Il pressing sul governo Letta è arrivato dal capo dello Stato, che non intende assistere a nuovi  temporeggiamenti sul terreno scivoloso delle regole. E ha chiesto di fissare tempi certi per la riforma della Costituzione. Sarà la volta buona? Al di là delle ricette, a parole tutti i partiti che sostengono l’esecutivo sono pronti all’impresa, non se ne trova uno che difenda il porcellum e che non voglia riformare «profondamente» il sistema. Sui contenuti, però, già volano i primi stracci con una grossa fetta del Pd contraria al presidenzialismo («Io non scambio il governo Letta e la sua tenuta con la Costituzione, che deve durare ben oltre le larghe intese», taglia corto Rosy Bindi) e  i centristi a zigzagare sui ritocchi alla legge elettorale. Venerdì il disegno di legge costituzionale dovrebbe approdare sul tavolo del Consiglio dei ministri: secondo fonti del governo l’intenzione, anche in risposta alle sollecitazioni del Colle, è di varare il testo il prima possibile.

A giorni, se non a ore, dovrebbe essere battezzata la squadra dei 25 saggi che dovranno affiancare il governo, collaborando con la futura commissione congiunta di Camera e Senato. La nomina spetta al premier che è alle prese con i curriculum, stretto tra le pressioni dei partiti e i “consigli” del capo dello Stato che vorrebbe vedere inseriti anche i nomi dei “facilitatori” (tra questi Violante e Onida) incaricati dal Quirinale di mettere nero su bianco il promemoria dell’agenda del costituendo governo Letta. Reduce dall’incontro con Napolitano  (che ieri si è visto anche con Letta e Alfano), il ministro Gaetano Quagliariello si è mostrato ottimista. «L’incontro è andato bene, non si è parlato di legge elettorale, ma abbiamo fatto il punto sulle riforme illustrando al Presidente quanto si è fatto attraverso le mozioni parlamentari». Dal Pdl si esorta (Gasparri è tra i primi) a mettere mano a cambiamenti profondi e a evitare ridicoli ritocchi per non scontentare nessuno.

Fabrizio Cicchitto è convinto che si debba partire dall’elezione diretta del presidente della Repubblica e da una legge elettorale fondata su due turni («invece di bloccarsi nelle secche dei provvedimenti tampone immediati, che per di più registrano l’esistenza di profondi dissensi, vale la pena impegnarsi nella realizzazione del programma massimo»). Un argomento che fa venire il mal di pancia al Partito democratico, ancora arroccato sull’equazione presidenzialismo uguale governo del tiranno (Berlusconi). Un argomento piuttosto esile che il costituzionalista, ex senatore pidiessino, Augusto Barbera invita ad abbandonare: «Il centrosinistra non deve avere paura del sistema semipresidenziale. I socialisti si opposero all’idea di De Gaulle dell’elezione diretta del presidente – spiega – ma poi quel sistema consentì al socialista Mitterrand di arrivare al potere». Insolitamente barricadero Walter Veltroni, sollecita “tutti” a una riflessione comune, se invece, le riforme diventano la “saga delle furbizia”, allora – dice –  «lasciamo perdere».

 

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