Sos addolorato di Colombo: la televisione italiana trascura i gay. «Dobbiamo attrezzarci meglio»

22 Giu 2013 14:14 - di Redazione

Gherardo Colombo, nella veste di consigliere d’amministrazione, dà voce alla sua preoccupazione per il provincialismo della televisione italiana che non si occupa  abbastanza dei diritti civili. In particolare della condizione dei gay e dei temi cosiddetti “eticamente sensibili”. Guardando in giro per l’Europa, tutti sono più avanti di noi – dice sconsolato l’ex giudice di Mani Pulite intervistato da Klaus Davi sull’ Huffington Post. «Spero ci si attrezzi per affrontare questi temi anche in Rai, le cui difficoltà sull’argomento mi pare siano lo specchio di una situazione più generale riguardante il riconoscimento di una serie dei diritti civili in Italia». Commentando la programmazione dedicata ai diritti civili sulle televisioni pubbliche europee, l’Italia risulta “arcaica”. RaiUno tedesca, primo canale della tv pubblica  nazionale, per esempio, ha “il coraggio” di mandare in onda davanti a un pubblico per lo più composto da famiglie la storia di Joanne e Sabine, una coppia di donne omosessuali che hanno visto accolta dalla Corte costituzionale la richiesta di adottare bambini. «A mio avviso –  continua Colombo –  facciamo fatica a parlare di questi argomenti e bisognerebbe trovare il modo per affrontarli senza mentalità da schieramento. Oltre al tema delle adozioni per le coppie omosessuali, c’é, per esempio quello del fine vita, che coinvolge il riconoscimento di diritti di particolare rilievo». L’eco francese sulla contestatissima legge voluta da Hollande sui matrimoni e le adozioni gay deve aver particolarmente sedotto l’ex magistrato. «La ridicolizzazione – aggiunge – non mi piace, si tratta di questioni molto serie. Sono fiducioso, mi sembra di vedere che anche in Italia si stia aprendo una strada, anche se molto lentamente e molto faticosamente, in merito al riconoscimento della serietà di determinati temi». Da uomo di diritto, naturalmente, è favorevole al riconoscimento delle unioni gay, «magari chiamiamole in un altro modo se utilizzare la parola matrimonio può essere “sconvolgente” per qualcuno». Almeno per ora.

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