Pupi Avati ha ragione, la destra ha sottovalutato la cultura e sprecato tante occasioni

20 Giu 2013 16:07 - di Silvano Moffa

Ho conosciuto Pupi Avati anni fa. Eravamo nel pieno della campagna elettorale per la Provincia di Roma. Dicembre 1998. Mentre saltavo da un comizio all’altro mi giunse una telefonata. Era il regista che, con mia grande sorpresa, chiedeva di incontrarmi. Lo raggiunsi in un capannone alla periferia della Capitale, dove stava girando uno dei suoi film. Con garbo e tono suadente mi chiese chi avesse scelto la foto che campeggiava sui tabelloni pubblicitari. Una gigantografia che incombeva un po’ ovunque. Al suo occhio esperto non era sfuggito il ritocco infelice che aveva alterato la naturalezza della posa. Mi spiegò senza perifrasi che quella foto era ingannevole. Meglio, molto meglio evitare ritocchi e aggiustamenti. Il volto al naturale, mi fece capire, esprime meglio di qualsiasi altra cosa la identità, il profilo, il carattere e i sentimenti di una persona. Come dargli torto? Mi disse che mi aveva visto e ascoltato in una delle tante manifestazioni di quei mesi e non capiva perché dovessi ricorrere ad una sorta di “plastica facciale”, nascondere pregi  e difetti che ognuno di noi ha.

Un colloquio breve, ma intenso. Per la verità, quella foto non piaceva neanche a me. In un certo senso mi era stata imposta da chi riteneva essenziale, in una competizione così impegnativa, che mostrassi il volto “ritoccato”  sui muri della citta’. Seguii il suo consiglio. Quella orribile foto sui manifesti sparì. Il Maestro mi aveva offerto, con squisita gentilezza, una lezione che non ho mai piu’ dimenticato. Avevo letto le sue opere ed apprezzato il suo modo di essere originale  e diverso nell’universo  cinematografico. Un misto di spirito moderno e tradizionale che mi affascinava e incuriosiva. Quel suo non rincorrere le mode. L’essere  trasgressivo, in un mondo omologato. Osservatore e narratore di una realtà in movimento, in perenne trasformazione . Il tempo che scandisce i cambiamenti. Grande costruttore, come scrisse Marguerite Yourcenar. Che non cancella il passato. Ma nel presente già custodisce l’embrione del futuro. E poi la sua genuina religiosità. La consapevolezza di una Trascendenza da  includere nella vicenda degli esseri umani. Come segno ineliminabile dalla nostra esistenza. Uno spazio ineludibile e non mercificabile.

In Pupi Avati mi ha sempre impressionato questo suo modo di essere e di pensare in profondità , fuori dagli schemi di una cultura egemone e di sinistra. Iconoclasta e anticonformista  al tempo stesso . Un regista che con la macchina da presa ci ha regalato spaccati di superba introspezione e di non banale comunicazione. Uno stile, il suo, unico e inconfondibile.

È proprio per queste caratteristiche che non mi ha sorpreso la  recente intervista sui peccati della Destra in materia di cultura, ripresa e commentata da Gloria Sabatini su queste colonne.

Ha ragione Pupi Avati: la Destra, al contrario della Sinistra, ha sottovalutato l’importanza della cultura. Prigioniera di un certo pragmatismo becero e fuorviante , ne ha trascurato la portata e l’incidenza. Fino al punto di azzerarne il valore perché con “la cultura non si mangia”, come pedestremente si è sentito declamare, con stolta saccenteria,  in alcuni ambienti politici e financo negli ambiti di governo. Fatto sta che gli accidenti che ci sono piovuti addosso e il logoramento graduale della destra trova la sua spiegazione anche e soprattutto in questa mancanza. Nell’aver lasciato che di cultura a destra si parlasse in sempre più rare occasioni. Nell’aver dissipato  un patrimonio enorme e favorito la  diaspora tra politica e cultura, infliggendo percorsi di emarginazione ad una moltitudine di intellettuali più o meno vicini. Quante riviste scomparse! Quante occasioni di governo sprecate! E  quanta presunzione alimentata dalla fallace convinzione che bastasse occupare le stanze del potere per reggere a tutte le intemperie. La verità è che la politica senza cultura perde senso e vitalità. Non c’è politica seria laddove manchi un progetto culturale di fondo. Pupi Avati lo dice in modo esplicito. Senza riserve. Con franchezza e brutalità. Dovremmo ascoltarlo.

 

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