La leader della dissidenza birmana rompe gli indugi: voglio candidarmi alla presidenza

6 Giu 2013 17:36 - di Redazione

Solo tre anni fa, quando Aung San Suu Kyi era ancora prigioniera in casa, appariva impensabile. Oggi che la leader dell’opposizione ha annunciato l’intenzione di candidarsi alla alla presidenza della Birmania il passo sembra naturale. Detenuta dal regime per 15 anni, la dissidente birmana conta sulle riforme che dal 2011 a oggi hanno trasformato il Paese. «Voglio essere candidata alla presidenza e sono assai franca sull’argomento», ha detto il premio Nobel per la Pace partecipando al World Economic Forum (Wef) in corso nella capitale Naypyidaw, parlando del futuro della Birmania. «Se facessi finta di non volerlo, non sarei onesta», ha aggiunto. Per arrivare all’obiettivo, The Lady (67 anni) ha rimarcato la necessità di un cambiamento costituzionale. L’attuale Carta, imposta al Paese nel 2008 dall’allora dittatura, include infatti un articolo che vieta la presidenza a chi ha sposato uno straniero o ha figli di altra nazionalità: esattamente il caso di Suu Kyi, vedova di un britannico, nonché madre di Alexander e Kim. La presa di posizione completa un anno di profonde trasformazioni per la leader della «Lega nazionale per la democrazia» (Nld). Dopo l’elezione in Parlamento nell’aprile 2012, due mesi più tardi compì il suo primo viaggio all’estero in 24 anni proprio partecipando al Wef di Bangkok, a cui seguirono tour in Europa e negli Stati Uniti. In patria, dove comunque rimane popolarissima, le minoranze etniche, che compongono il 30 per cento della popolazione, hanno perso fiducia nelle sue capacità di mediatrice per arrivare a una struttura di stato federale. Da tempo, di fronte a questo pragmatismo che ha rimpiazzato l’irriducibilità da dissidente, gli analisti intravedevano la volontà di muoversi con cautela per non crearsi nemici in vista delle elezioni del 2015.

Il rapporto di fiducia con l’ex generale Thein Sein è alla base delle riforme degli ultimi due anni (dalla liberazione dei prigionieri politici all’abolizione della censura della stampa), che sono valse alla Birmania la revoca di quasi tutte le sanzioni occidentali. Suu Kyi sta coltivando anche le relazioni con le influenti forze armate: all’inizio di quest’anno, ha ammesso di «essere affezionata» all’esercito, di cui faceva parte il padre Aung San prima di essere assassinato. L’opera di persuasione sta dando frutti. In marzo, il Parlamento – dove i militari controllano di diritto il 25 per cento dei seggi – ha votato l’apertura di un processo esplorativo di revisione della Costituzione. Un emendamento al famigerato comma anti-Suu Kyi non è più tabù. E la distensione mostrata oggi dalla Signora nell’annunciare le sue ambizioni, per giunta proprio nella capitale creata dal nulla dai militari, ne è la prova.

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