Il Pd grida “al lupo, al lupo” e non si accorge che c’è la Merkel a origliare

12 Giu 2013 21:08 - di Francesco Signoretta

Gli alieni del Pd ogni giorno ci fanno sapere (come se non ne fossimo a conoscenza) che il livello di disoccupazione è diventato intollerabile e mina le fondamenta della pace sociale di questo Paese. E il governo fa da eco: «Senza lavoro l’Italia non si salva», ha detto Enrico Letta al congresso federale della Cisl. Creare posti di lavoro è un imperativo. E fin qui tutti – almeno a parole – sono d’accordo. Quando si passa sul come ottenere questo risultato, però, il discorso cambia. Il Pdl va subito al concreto e chiede di rinegoziare i parametri europei, relativamente alla golden rule, di abbattere le imposte e rilanciare le opportunità, soprattutto per i giovani, azzerando i costi per le imprese che contrattualizzano chi si avvicina al lavoro per la prima volta. Poi ci sono le misure  per rimettere in moto l’economia: niente Imu sulla prima casa, per far ripartire il settore delle costruzioni, e sterilizzazione del prossimo aumento dell’Iva, previsto per luglio. Ma il Pd non ci sente. L’Iva? Vedremo, risponde ai commercianti che lanciano l’allarme. L’Imu? Non si può, ci sono delle cose più urgenti, fanno sapere a una voce da Largo del Nazareno e dalla Cgil, preoccupandosi delle ricadute in termini di consenso che l’adozione di questo provvedimento avrebbe per il Pdl e per Berlusconi. E il negoziato europeo parte zoppo, perché la Merkel ha tutta l’aria di voler attendere le elezioni tedesche prima di negoziare. Insomma, c’è chi si rende conto che serve una vera e propria scossa e che bisogna fare presto e chi, invece, tende a galleggiare. Del resto basta guardare ai provvedimenti adottati dal governo Monti per capire che in alcuni partiti non c’è posto per la volontà di fare crescita e di rilanciare consumi e occupazione. Non più tardi di un anno fa, Pd e Cgil si sono battuti lancia in resta per fare in modo che la Fornero, in quel momento impegnata nella riforma del mercato del lavoro, ingessasse ulteriormente il sistema invece di introdurre elementi di flessibilità. Alle imprese, che chiedevano di tagliare i costi in entrata per i nuovi assunti, è stato risposto che c’era la necessità di aumentare gli oneri per i contratti a termine per fare in modo che non fossero più competitivi nei confronti di quelli a tempo indeterminato. Così, hanno pensato le teste d’uovo della Cgil, le imprese, per non pagare oneri aggiuntivi, preferiranno sottoscrivere contratti a tempo pieno in luogo di quelli flessibili.  Invece nulla di tutto questo è successo:  le aziende, senza soldi e senza credito, non hanno rinnovato i primi, ma non hanno nemmeno sottoscritto i secondi. E qualcuno ha addirittura  chiuso i capannoni, mandando a casa tutti. Insomma, i “rivoluzionari” della sinistra italiana erano partiti per suonare e sono stati suonati. Peccato che assieme a loro sono stati suonati anche gli italiani.

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