Twitter e gli insulti. Severgnini dà lezioni a Grillo. Vitullo: pericoloso il mix di rabbia e narcisismo

10 Mag 2013 11:43 - di Gloria Sabatini

Insulti, minacce, parolacce. Virtuali quanto si vuole, perché corrono sul filo immateriale della rete, ma – si sa – le parole possono essere pietre. E poi, anche se nessuno ti assale sotto casa, non è esaltante assistere alla demolizione del proprio pensiero a suon di vaffa on line. Dopo la clamorosa uscita da twitter di Enrico Mentana, bersagliato da post oltraggiosi (rigorosamente anonimi, s’infuria),  la polemica continua. «Se twitter diventa la piazza dell’oltraggio» scrive sul Corriere Pierluigi Battista descrivendo il «violento seriale» e definendo twitter «il paradiso dell’oltraggio purificatore». Che cosa ci sarebbe di catartico, però, non è chiaro. La tesi del giornalista è semplice: chi ci sta (su twitter, sui blog…) deve accettare il rischio di convivere con i “ceffi”. Ma, sopratutto, la politica e il terrorismo verbale non c’entrano. Battista non affronta il tema dei grillini impareggiabili nell’arte dell’insulto on line “mordi e fuggi”. Salvo poi essere smentiti da quegli stessi capi che li aizzano. È quanto sostiene Severgnini nella sua lettera aperta a Grillo: «Dopo un fondo sul Corriere, una partecipazione a Ballarò e una a Otto e mezzo, dove ho espresso opinioni sul Movimento 5 Stelle, ho raccolto una cascata di commenti aggressivi, volgari o minacciosi. Soprattutto su www.beppegrillo.com (ma gli insulti non erano vietati?), sul canale Youtube Rai (chi lo modera?), su Facebook e Twitter. Esagero? Cosa direste, se qualcuno scrivesse di voi “Non vale nemmeno il prezzo del colpo che meriterebbe ampiamente di ricevere in mezzo agli occhi”?». La rete – è la morale – è troppo importante, affascinante e libera perché bande di incoscienti, travestiti da libertari, possano rovinarla, quindi Grillo e Casaleggio dovrebbero (se volessero) correre ai ripari…

Andrea Vitullo, autore del saggio Leadershit, invece, sposta i riflettori sul tema della rabbia collettiva. «Faremmo bene a interrogarci su questa rabbia che possiede tante persone, che si sfogano su twitter e nascondono la mano. Non c’è più dialogo né confronto, molti non seguono neanche la conversazione che segue il commento, è solo un pauroso sfogatoio frutto del narcisismo di chi pensa così di essere ricordato dai posteri». L’autore del libro che vuole rottamare la mistica della leadership “consiglia” in alternative pratiche spirituali e meditative. Decisamente più utili e liberatorie di un post. «Mi arrabbio, insulto e poi sono dipendente dalla catena che ho attivato – dice Vitullo – si crede di cambiare il mondo ma non è così. Il mondo non si cambia con la rabbia né con internet». Giorni  fa – racconta – ho firmato l’appello contro il femminicidio sul web, ma non penso di aver risolto il problema, quello è solo «un passo iniziale» che poi deve confrontarsi con la realtà. Il post non è catartico come pensa Battista. «Ma no, lo faccio per soddisfare il mio ego». Non ci sono ricette, ma dovremmo tutti cercare di «acquietare questa rabbia collettiva». Una parola.

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