Trattativa Stato-mafia. Mancino: non posso stare in aula con Cosa Nostra. E chiede lo stralcio

27 Mag 2013 12:07 - di Redazione

«Non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia», ha detto Nicola Mancino entrando nell’aula bunker del processo per la presunta trattativa tra Stato e mafia a Palermo. Bombe, ricatti alle istituzioni, accuse di accordi sotterranei con Cosa nostra nei terribili anni ’90. L’udienza prende il via  nel giorno del ventesimo anniversario della strage di via dei Georgofili a Firenze. «Io ho combattuto i criminali – ha detto l’ex ministro dell’Interno – non posso stare insieme alla mafia in un processo», ha insistito annunciando la richiesta di stralcio della sua posizione («Che uno per falsa testimonianza debba stare in Corte d’assise mi sembra un po’ troppo»). Ma la Procura ha preannunciato che contesterà una nuova aggravante a Mancino, non si sa quale. Alla sbarra c’è lo Stato. Ma anche mafia. Dieci gli imputati: i capimafia Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Ciná, ma anche l’ex senatore Marcello Dell’Utri, l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, gli ex vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, il pentito di mafia Giovanni Brusca e il collaborante Massimo Ciancimino (accusato di concorso esterno in associazione mafiosa). La storia della trattativa sotterranea prenderebbe le mosse dalla “vendetta” della mafia per la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan nel maxiprocesso del ’93.  Cosa Nostra avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata. Il dialogo avrebbe dato i suoi frutti con la decisione dello Stato, nel 1993, di revocare il 41-bis. Nella storia vicenda entra l’allora ministro Mancino che avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall’allora Guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino. Il pm De Matteo insiste con l’accusa: lo Stato non può negare le sue responsabilità. Sulle grate dell’aula bunker è stato affisso uno striscione a sostegno di Agnese Borsellino. La vedova del magistrato, morta tre settimane fa, chiedeva «verità e giustizia» per l’assassinio del marito Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio. Secondo i magistrati Borsellino sarebbe stato ucciso proprio perché seppe della trattativa.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • Nico 22 Aprile 2018

    PROCESSI SU PROCESSI, CENTINAIA DI UDIENZE, ANNI ED ANNI DI ANSIA E SPESE PER CHI VIENE ACCUSATO, QUASI SEMPRE INGIUSTAMENTE, PER POI, DOPO TANTI SPUTTANAMENTI E M**** GRATUITA VEDERSI ASSOLTI SENZA RISARCIMENTI E RESPONSABILITÀALTRUI!!! CIOÈ , DISTRUGGONO LE PERSONE E LA LORO REPUTAZIONE, COME AI TEMPI DELLE INQUISIZIONI DEL 700 E COME È SUCCESSO AD ENZO TORTORA, ED I CIALTRONI, SCORRETTI, POLITICIZZATI DAL VECCHIO PCI, SPAZZATO VIA DALLA STORIA, NON PAGANO MAI, ANZI VENGONO TRASFERITI E PROMOSSI!!! UNA GIUSTIZIA DA REPUBBLICA DELLE BANANE QUALE È DIVENTATA L’ITALIETTA!!! SONO SEMPRE PIÙ CONVINTO A FINIRE I MIEI GIORNI IN UN ALTRO PAESE!!!