Politica e giustizia: è tempo di rimettere “Ordine”

11 Mag 2013 18:16 - di Silvano Moffa

“Sir Francis Bacon, filosofo e propugnatore del metodo scientifico, si occupò anche dei caratteri dello Stato moderno e del ruolo dei giudici, soprattutto dopo la nomina ad attorney general  (consulente legale) di Giacomo I Stuart. Di lui si ricorda una non banale affermazione sul rapporto tra giudici e politica: «I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono». Il rapporto fra il trono e i leoni, fra i politici e i magistrati, continua a essere uno dei maggiori rompicapo politici e costituzionali di uomini di governo, magistrati, studiosi di sistemi politici e giudiziari. Il trono ambisce a schiacciare con il proprio peso i leoni; i leoni manifestano una certa propensione a sedersi sul trono. La politica non vede di buon occhio i magistrati intraprendenti, che eccedono in controlli non graditi, eccitando la pubblica opinione e gli avversari politici. I magistrati considerano un must della carriera l’aver incriminato qualche politico di rilievo”.

Non sembri affatto azzardata la lunga citazione dell’incipit con il quale qualche anno fa Luciano Violante analizzava, senza veli né ipocrisie, la “questione giustizia” e il ruolo dei giudici in un fortunato saggio dal titolo emblematico:”Magistrati”. Non è fuori luogo richiamare le sue non banali riflessioni sulla necessità di dar vita e senso ad una “nuova responsabilità” della magistratura per evitare il perenne conflitto  e garantire un ragionevole equilibrio tra politica e giustizia.

Non lo è , soprattutto, mentre il Pdl scende in piazza per manifestare solidarietà al suo leader  condannato e  persino autorevoli membri di governo sfilano a Brescia contro la “magistratura politicizzata”; scelta, quest’ultima, tutt’altro che felice, come ha denunciato su queste colonne l’amico Mario Landolfi. Scelta, però, che la dice lunga sulle difficoltà di coesione di questa “strana maggioranza”  che governa il Paese. Sappiamo che la giustizia è terreno accidentato sul quale sono scivolati esecutivi e si sono infrante maggioranze all’apparenza solide e invulnerabili. Non c’è dubbio che occorra coraggio per scardinare il potere di quella parte di magistratura politicizzata che soltanto gli orbi non vedono e, nello stesso tempo, offrire un terreno di nuova legittimazione alla indipendenza dei giudici, dopo la crisi della legge e l’indebolimento della piattaforma costituzionale sulla quale si sosteneva. Lo stesso Violante, nel saggio richiamato, invocava il recupero di valori e parametri di giudizio, nella funzione del giudice, non solo con riferimento alle qualità del magistrato (il che implica un aggiornamento del quadro formativo) ma anche alle condizioni che ne garantiscano piena autorevolezza. Così come la politica , anch’essa alla ricerca disperata di una nuova legittimazione per recuperare credibilità e senso agli occhi dei cittadini, dovrebbe decidersi, una volta per tutte, a mettere mano alle riforme che in questo campo appaiono urgenti e non più differibili.

Sotto questo profilo, diciamolo con franchezza, non è esente da responsabilità lo stesso centrodestra. Fin dal lontano 1994, epoca della discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel programma di governo erano previste alcune importanti riforme. Ne cito due: La riforma del Csm e la separazione delle carriere dei magistrati. C’è stato  un momento in cui sembrava che queste idee avessero fatto breccia persino in quella parte della sinistra riformista non  aliena dall’individuare nella crisi della giustizia uno dei mali del nostro sistema. Furono presentate in Parlamento proposte legislative di ottima fattura. Tra queste la proposta Pecorella sulla riforma del Csm che mirava ad eliminarne la evidente politicizzazione, resa manifesta dalla divisione della magistratura in correnti contrapposte. La cito per ricordare che sarebbe bastata una semplice legge ordinaria per mettere un po’ d’ordine nella materia e restituire alla magistratura il ruolo che le compete in base alla Costituzione: quello di essere un Ordine, appunto, e non un Potere, come sovente si afferma e come concretamente registriamo quando la sua azione diventa soverchiante, ossessiva, distorsiva rispetto all’alta, nobile e indispensabile funzione di garantire certezza del diritto. Purtroppo  il centrodestra, per una serie interminabile di ragioni tutte interne al suo schieramento e non solo, ha buttato al vento più di una volta l’opportunità di cambiare le cose. Ora, piangere sul latte versato serve a ben poco. Che almeno gli errori del passato ( provvedimenti poco coerenti e maldestramente messi in piedi per difendere l’indifendibile)servano da esperienza. Si riparta , invece, dallo spiegare che non c’è niente di peggio, in una democrazia fondata su un complesso e delicato equilibrio di poteri,del la perdita del senso del limite della giurisdizione rispetto alle luci abbaglianti del moralismo giuridico. Potremmo spiegare che questa è la sindrome di chi è preda di furore palingenetico.  L’opposto del corretto e nobile gesto di servire lo Stato. E saremmo già sulla buona strada.

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