Lavoro, non c’è tempo da perdere. E se si continua a litigare diventa tutto più difficile

23 Mag 2013 17:23 - di Giovanni Centrella

Tra la trattativa che si è appena aperta con il ministro Enrico Giovannini sulle modifiche da apportare alla legislazione del lavoro e l’assemblea annuale di Confindustria c’è una perfetta continuità. Anche se l’aspetto temporale è del tutto casuale, non lo è l’affinità degli argomenti: il lavoro e l’industria. Entrambi vanno di pari passo e, per fortuna, l’attuale livello tecnologico ci consente ancora di non poter fare a meno l’una dell’altro. Se sono cambiati i tempi e i modi della produzione, non lo dobbiamo solo alla crisi ma all’incremento del nostro livello tecnologico. Alcuni lavori saranno destinati a scomparire, mentre altri potranno addirittura ritornare necessari. Così come non è escluso che possano emergere nuove professioni, nuove frontiere del lavoro. Ma per “vedere oltre” il muro, bisogna avere una visione, una prospettiva, un progetto per l’Italia.

La crisi può suscitare in noi uno scatto di creatività e di orgoglio per uscire da un pantano che, qualora non venisse prosciugato o superato, non ci lascerebbe fermi al punto in cui siamo oggi, ma che, come ha avvertito giustamente il presidente di Confindustria, ci porterebbe indietro di 50 anni. Perché se alla situazione del Sud fortemente compromessa, ormai cronicizzata, aggiungessimo anche il malessere del Nord, cioè della locomotiva d’Italia, l’effetto combinato di due sciagure ci spingerebbe ancora più indietro, non ci lascerebbe di certo dove ci troviamo oggi. Siamo dunque di fronte ad un bivio. Per riuscire in questa difficile sfida, lavoro e impresa devono marciare di pari passo, potendo contare sul sostegno non solo economico ma anche “politico” delle istituzioni che devono fare da trampolino di lancio e non da pesante fardello, vuoi per i costi inutili, vuoi per regole ingiuste e altrettanto inutili, vuoi per un eccesso di “attenzione” che spesso fa da freno all’espressione delle nostre migliori qualità. Non c’è categoria che non si lamenti, che non sia spaventata dal futuro e ci sono famiglie che, come rilevato dall’Istat, vedono crollare in picchiata il loro potere d’acquisto, oggi il peggiore dagli anni ’90, causato “dall’inasprimento del prelievo fiscale”, altra denuncia di sempre dell’Ugl, e diminuito del 4,8 per cento. Non abbiamo tempo da perdere, smettiamola di litigare.

*Segretario Generale Ugl

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