L’arrogante “apartheid” ha reso i grillini estranei al Paese. E l’elettorato gli ha voltato le spalle

28 Mag 2013 10:38 - di Gennaro Malgieri

Un tale Roberto Fico, deputato del Movimento Cinquestelle, dall’alto della sua autorevolezza ha commentato il voto con queste parole che noi invece non commentiamo per carità di patria: «Siamo in lenta ma costante e inesorabile crescita». Già, proprio così: inesorabile. Non è una svista del cronista del Corriere della sera che l’ha riportato, ma all’“inesorabile” deputato grillino deve essere sfuggito, nell’euforia del momento, il trascurabile dato della rovinosa caduta del suo movimento che soltanto tre mesi prometteva sfracelli e si è andato invece a schiantare contro diarie, indennità, stipendi, rimborsi, ritenendo, evidentemente, che la politica è tutta in un comico giro d’Italia a bordo di un camper attraverso il quale sputacchiare a destra e a manca su chiunque capiti a tiro facendo leva sui risentimenti ed i rancori covati che, beninteso, sono molto diffusi lungo la Penisola.

A loro spese i grillini stanno, infatti,  sperimentando che la politica, invece, è tutt’altra cosa. Il baratro che all’apertura delle urne si è spalancato davanti ai loro occhi li ha messi in contatto con una realtà che fino a qualche ore prima sconfinava nella favola bella di un movimento che si illudeva di cambiare l’Italia con qualche no e molte maleparole. L’irrisione non paga e non paga neppure il “tradimento” dell’elettorato che francamente si aspettava qualcosa di più, sbagliando naturalmente, da chi immaginava che la “marcia su Roma” avrebbe rivolltato come un calzino il Paese.

Grillo ed i suoi non hanno capito molto dell’Italia. Soprattutto non hanno realizzato che il cambiamento, per quanto “rivoluzionario”, non si concretizza nell’apartheid orgoglioso, fiero ma anche caciarone nel quale si sono rinchiusi. Va bene girare in lungo ed in largo il Belpaese, ma se non lo si comprende è difficile saltargli addosso con la velleità di modificarne la struttura. La sobrietà della quale  si sono sentiti portatori, i Pentastellati avrebbero dovuto applicarla soprattutto ed innanzitutto a loro stessi, atteggiandosi con la doverosa umiltà nei confronti delle istituzioni che non hanno fatto alltro che dileggiare fin dal primo momento, reputandosi al di sopra di tutto e di tutti.

Gli elettori che pure speranzosi li avevano votati ci hanno meso poche settimane a voltargli le spalle. A dimostrazione che le formazioni politiche non s’improvvisano ed il radicamento sul territorio, come dimostra il flop alle amministrative, si costruisce con pazienza e proposte concrete.

La parabola discendente del M5S è incominciata. Gli stessi parlamentari grillini ne sono consapevoli. Non ne possono più delle imposizioni dall’alto del duo Grillo-Casaleggio che immaginavano di manovrare gli eletti a loro piacimento; non ce la fanno più a sopportare espulsioni e reprimende da parte di una “cupola” che risponde soltanto ai guro; non ne possino più della politica via web che li fa apparire più adepti di una setta che persone chiamate a rappresentare il popolo. E poi, il rifiuto della “contaminazione” rende insopportabile la permanenza in un gruppo che pretende di fare politica senza scegliere.

Si parla di irrisolti “casi di cosienza” che porterebbero deputati e senatori ad iscriversi, a breve , al gruppo misto. Il “colpo” delle amministrative è forse quello che spalancherà la strada al dissenso e, dunque, alla fine del Movimento. Le meteore hanno vita effimera per quanto possono apparire seducenti. Il grillismo non ha avuto neppure questa qualità.

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