La violenza politica non è “figlia di nessuno”. Ha un suo colore, una sua strategia e va stanata

11 Mag 2013 19:19 - di Girolamo Fragalà

Non è un caso se si verificano nuovi episodi di violenza politica. E sarebbe ripetitivo domandarsi a chi giovano, filosofeggiando sul cui prodest? pronunciato da Medea, figura della mitologia greca, nella tragedia di Seneca. C’è una sinistra intollerante che fa del sopruso la propria bibbia, che è il motore e l’anima dei centri sociali e che per decenni è stata coccolata, guai a parlarne male, guai a chiedersi il perché possa – indisturbata – incendiare auto e cassonetti, guai a invocare regole senza passare per manettari. Di quella sinistra, secondo alcuni opinionisti radical chic, bisogna capire le ragioni e la rabbia, giustificare gli atteggiamenti sopra le righe, raccogliere la protesta e l’urlo. Non sono nemmeno “compagni che sbagliano”, sono “compagni”, punto e basta. Eppure chiunque è consapevole che alzare la tensione risponde sempre a un preciso obiettivo politico. Ma in troppi hanno chiuso un occhio perché i centri sociali sono stati utili quando c’era da attaccare il diavolo che non veste Prada ma si chiama Berlusconi. Il fenomeno però si è allargato a macchia d’olio e ora è difficile metterci il freno. Nel giro di poche ore c’è stata l’irruzione violenta (bipartisan) nei gazebo elettorali di Gianni Alemanno e Ignazio Marino a Roma, in azione gruppi di persone con il volto coperto da maschere, anche se le intenzioni non erano carnevalesche. A Brescia, invece, i centri sociali hanno organizzato le contestazioni a Berlusconi, con spintoni e insulti, fino ad arrivare all’aggressione con calci e pugni ai danni di un militante del Pdl che stava tranquillamente recandosi al comizio del partito. Il volto sanguinante di quell’uomo la testimonianza di un clima inaccettabile, prodotto da campagne di odio e pregiudizio che vanno avanti da decenni e che oggi c’è chi vuole riproporle con maggiore forza – facendo ricorso al sopruso – perché rimasto ai margini della nuova stagione politica. Ed è un sopruso (nonché una provocazione) andare in piazza a Brescia, infilarsi tra la folla ed esporre un cartello con la scritta “Occhio gente, Silvio mente”. Oppure radunare i propri militanti e disturbare il comizio occupando una fetta di piazza, fischiando e sventolando bandiere di Sel e Azione antifascista. Più che chiedersi cui prodest? bisognerebbe chiedersi chi sono i provocatori.   Senza chiudere né un occhio né tutt’e due gli occhi.

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