La moglie del carabiniere ucciso dopo un rave party: «Lui come Giangrande, vittima della stessa violenza»

13 Mag 2013 19:54 - di Redazione

Cambio di imputazione, da tentato omicidio a omicidio volontario, per i tre ragazzi che erano con Matteo Gorelli, il ventenne di Cerreto Guidi (Firenze) condannato all’ergastolo per l’omicidio di Antonio Santarelli, il carabiniere morto per l’aggressione subita il giorno di Pasquetta, nel 2011, durante un controllo nelle vicinanze di un rave party nel Grossetano

. Per i tre ragazzi, all’epoca minorenni, oggi c’é stata udienza preliminare al tribunale dei minori di Firenze. Per loro il procuratore dei minori Massimo Floquet ha chiesto la modifica del capo di imputazione: dopo essere rimasto in coma per un anno, il carabiniere è morto. Proprio alla luce della nuova imputazione, i legali dei tre hanno chiesto i termini a difesa e, quindi, il giudice Maria Serena Favilli ha deciso di rinviare l’udienza al 22 ottobre. All’udienza erano presenti i tre ragazzi e Domenico Marino, il collega di Santarelli, che nell’aggressione perse un occhio. Le difese hanno contestato l’accusa ricordando che nella sentenza di condanna di Gorelli i giudici escludono l’intervento nell’omicidio dei tre ragazzi che quel giorno erano con lui.

Oggi la vedova di Santarelli ha tracciato un parallelo con l’attentato avvenuto davanti Palazzo Chigi. «Vedere quegli spari in televisione è stato molto doloroso – ha spiegato la donna – anche perché in questi mesi ho cercato di lanciare messaggi di speranza a tutte le persone che ho incontrato. Purtroppo paga ancora chi non c’entra niente». L’aggressione subita dal marito – il suo collega ha perso un occhio – e quella avvenuta davanti Palazzo Chigi «sono simili – ha continuato Claudia – perché sono stati provocati da due persone che avevano dentro di sé il vuoto. In questa società povera di valori è molto facile che due persone, fragili, commettano atti insensati». La signora Santarelli esprime un desiderio: «Mi piacerebbe incontrare Giuseppe Giangrande. È ricoverato nella clinica di Montecatone, la stessa che accolse Antonio».

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