La dittatura rossa è un “bene rifugio”: la nipote di Mao ha un patrimonio stratosferico e il web insorge

9 Mag 2013 18:16 - di Antonella Ambrosioni

La rivoluzione comunista rende bene e il “grande balzo in avanti” pure. Magari ad avvantaggiarsene sono gli eredi, ma va bene lo stesso. Chissà cosa direbbe suo nonno Mao di Kong Dongmei, erede diretta del Grande timoniere. Ha un patrimonio che si aggira intorno ai 620 milioni di euro che le ha permesso di guadagnare, insieme al marito, il 242esimo posto nella classifica delle 500 persone più ricche della Repubblica popolare cinese, stilata dal magazine finanziario locale New Fortune. La nipotina, sposata con tre figli,  non può che benedire la “lunga marcia” dello zio. A riportare la notizia è stato il South China Morning Post, nella sua versione online, creando un vespaio di polemiche per il fatto che la milionaria non è altro che la nipote del padre della rivoluzione. In molti infatti hanno ironizzato sul web denunciando «l’ipocrisia del regime che continua ufficialmente a portare avanti l’ideale rivoluzionario del fondatore» della Repubblica popolare. Kong – che è figlia di Li Min, i cui genitori erano Mao Zedong e la sua seconda moglie He Zizhen – dopo essersi laureata all’università di Pechino in Aeronautica, ha iniziato a lavorare con il marito in una compagnia assicurativa. Nel 1999, dopo avere ottenuto un Master alla University of Pennsylvania, è tornata nella madrepatria e ha aperto una libreria a Pechino che aveva come obiettivo la “protezione” della cultura comunista, scrivendo anche quattro bestseller sul potente nonno, tuttora tra i più venduti nel mondo. In pratica, ha “capitalizzato” il nome del popolare avo. Le rivelazioni sulla fortuna della famiglia di Kong sembrano però contraddire quanto affermò nel 2009 il generale Mao Xinyu, altro nipotino di Mao: «L’eredità della nostra famiglia – disse – è onesta e chiara. Nessuno di noi si è mai dedicato al business e tutti abbiamo degli stipendi modesti», disse, ma le cose non sono proprio in questi termini, visto che anche lui pensò bene di pubblicare – con l’eco che si può bene immaginare – molti volumi sul popolare nonno. Ma che la dittatura rossa sia “un bene rifugio” è un principio che non riguarda solo i discendenti di Mao. Nonostante le campagne moralizzatrici del nuovo leader cinese Xi Jinping, gli uomini d’affari collegati al Partito comunista sono ancora saldamente al vertice della piramide sociale della Cina. I casi di nepotismo sono molti. Nel giugno del 2009 scoppiò il caso che riguardò proprio Mao Xiyu, il nipote di Mao, divenuto il più giovane maggior generale nella storia dell’Esercito Popolare di Liberazione. Una carriera fulminante. Un anno e mezzo dopo è spuntato un altro caso di nepotismo: è quello relativo alla scalata delle gerarchie militari del figlio di Liu Shaoqi, il secondo presidente della Cina Popolare. E poi ci sono i discendenti della terza generazione di leader comunisti, tra cui spicca il nome di Jiang Zemin. Sono i dirigenti del partito che hanno guidato la seconda fase del boom economico. I loro figli sono quasi tutti imprenditori e quasi tutti milionari. Le storie di nepotismo sono sempre più frequenti nella Cina del XXI secolo e il risentimento corre sui blog, invade le pagine dei quotidiani più liberali e arriva perfino sugli organi ufficiali di stampa. Pare che le logiche spartitorie si siano ben divise, come si legge sul sito MondoCina.it: i discendenti dei rivoluzionari della prima ora hanno scalato le gerarchie militari, mentre per i figli dei riformatori post-maoisti si sono spalancate le porte del mondo degli affari. Ogni rivoluzione è Paese…

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