Il Pd in stato confusionale cerca un “reggente”, ma ha bisogno di un “liquidatore”

10 Mag 2013 10:36 - di Gennaro Malgieri

L’ennesimo psicodramma del Pd andrà in scena domani alla Fiera di Roma dove è in programma la riunione dell’Assemblea nazionale. Lo stanno preparando con la meticolosità che non fatichiamo a riconoscergli quelli che al Largo del Nazareno brancolano nel buio e dimostrano, come le cronache ampiamente hanno documentato, di non aver una sola idea chiara sul futuro del partito. Un vertice senza punti di riferimento, contagiato dal “grillismo”, prigioniero delle sue paure si appresta, infatti,  a cercare il sostituto di Bersani tra alcuni degli esponenti di spicco.

Anna Finocchiaro sembra la favorita, ma le sue quotazioni scendono di ora in ora; salgono invece quelle del giovane capogruppo alla Camera, Roberto Speranza; possibilità ne hanno anche Vannino Chiti e Gianni Cuperlo, i due esponenti, di scuola dalemiana, forse più adatti a ricoprire un ruolo “cruciale”, visto che chi otterrà la reggenza dovrà preparare il congresso d’autunno e ridefinire il partito uscito squassato dalla prova elettorale e dagli eventi successivi.

Sull’Assemblea, comunque, già aleggia lo spettro del fallimento che potrebbe anche avere le sembianze della spartizione o lottizzazione di incarichi e poltrone, per quanto possano contare. I renziani, tanto per esemplificare, non ci stanno a restare a guardare, ma neppure vogliono impegnarsi con il loro leader in prima persona a prendere in mano il partito: lo sconsigliano le circostanze e le ambizioni del sindaco fiorentino che di bruciarsi le mani non ne ha proprio voglia. Le altre componenti litigano furiosamente sull’organigramma da approntare come se servisse a qualcosa prima di aver definito la “vocazione”, la “missione” e la struttura del Pd.

E’ su questi aspetti che la spaccatura – magari avolta nelle nebbie della dialettica interna – si consumerà per l’ennesima volta. E si rincorranno accuse e ripicche, secondo un copione già letto.

Infatti, il partito invece di guardarsi dentro al fine di ridefinire la propria identità di sinistra ed abbandonare le suggestioni dell’antipolitica, oltre a far cadere quel mantra scandito ossessivamente nei giorni caldi dell’elezione presidenziale che lo ha irretito (“Ro-do-tà, Ro-do-tà”) che lo ha irretito e traumatizzato, e che continua ad essere agitato dalla sinistra radicale e dai Cinquestelle, dovrebbe prendere atto che una stagione può ricominciare soltanto attorno ad un progetto di rinnovamento politico che prospetti  soluzioni  non strumentali, ma profondamente condivise all’interno del Pd. Difficilmente che tutto ciò accada domani. Il partito, oggettivamente, sembra incline, sia pure inconsciamente, ad accettare fatalisticamente l’oblio o, quantomeno, l’irrilevanza come se avesse realizzato di vivere in una sorta di acquario nel quale ogni soggetto si muove in autonomia compiendo percorsi talvolta privi di senso.

In questi giorni segnati da accuse che i dirigenti del Pd si sono gettati addosso, non abbiamo colto neppure un segno di resipiscenza nei confronti della sinistra estrema, né l’auspicata manifestazione di un atto di coraggio nel negare a chi lavora per il tanto peggio tanto meglio diritto di interlocuzione con un partito che bene o male è pur sempre innervato in una tradizione politica tutt’altro che marginale nella storia itraliana. E questo è un problema del quale i più avveduti dirigenti di Largo del Nazareno sono consapevoli.

Eppure sembra che abbiano scelto la strada “minimalista”, quella cioé di affidare a mani più o meno esperte la gestione dell’ordinaria amministrazione fino al congresso, come se i mesi che verranno non dovessero essere gravidi di eventi che imporranno decisioni anche dirompenti all’interno del Pd. Perciò ci sarebbe bisogno di una forte presa di coscienza, supportata da tesi impegnative e da un lavoro di risistemazione culturale della sinistra democratica a fronte delle urgenze che con ogni probabilità chiameranno nuovamente a breve la politica a scelte difficili.

La storia del Pd non autorizza all’ottimismo. E’ più probabile che dall’Assemblea nazionale scaturisca soltanto un nome che accompagni l’agonia del partito e ne certifichi poi l’estinzione. Inutile negarlo, alla scissione guardano tutti. Con interesse, ma anche con comprensibile spavento.

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