Hollande introduce l’inglese negli atenei per attirare… gli indiani. E i prof si infuriano

9 Mag 2013 20:31 - di Giovanni Trotta

E ci risiamo con la grandeur. In Francia per dimenticare i guai causato dalla crisi e da Hollande si pensa ad altro. E si ritorna a un vecchio cavallo di battaglia, ossia l’orticaria di molti francesi al predominio della lingua inglese e comunque a tutto quello che proviene da Oltremanica. Ma in questo caso è una battaglia di retroguardia, assolutamente indifendibile. Il progetto di legge del presidente François Hollande, che intende facilitare l’introduzione di corsi universitari tenuti nella lingua di Shakespeare per rendere più competitive le università di Francia, ha fatto infuriare numerose personalità della cultura transalpina, tra accademici, professori e intellettuali. A partire dai membri della prestigosa Académie française, lo storico organismo per la difesa del francese, fondata dal cardinale Richelieu nel 1635. Tutti puntano il dito contro «i pericoli di una misura che si presenta come un’applicazione tecnica, ma che in realtà favorisce una marginalizzazione della nostra lingua». E ancora: «Siamo in guerra!», attacca Claude Hagege, professore al College de France, parlando di «pulsioni autodistruttrici» e di «progetto suicida». Per il filosofo Michel Serres, «insegnare le varie discipline in inglese ci porterebbe a essere un Paese colonizzato». Presentata dal ministro per l’Educazione superiore, Geneviéve Fioraso, la legge che legalizza i corsi in lingua straniera nelle università di Francia passerà al vaglio del Parlamento il 22 maggio. Quinta destinazione mondiale per gli studenti stranieri, la Republique continua a essere una delle destinazioni predilette per gli studenti provenienti da Africa e Maghreb, ma perde posizioni. Oggi, la sfida è avere più iscritti provenienti dai Paesi emergenti, come Brasile, Cina, o India. «L’India ha un miliardo di abitanti, di cui 60 milioni di informatici, da noi vengono solo 3.000 studenti indiani. Siamo ridicoli», deplora la Fioraso, secondo cui – se si andrà avanti di questo passo – «ci ritroveremo in cinque intorno a un tavolo a parlare di Proust…». Inoltre, assicura il ministro, con la nuova legge l’uso dell’inglese «riguarderà meno dell’ 1% del totale delle lezioni. Non si tratta di rendere obbligatori i corsi universitari in lingua straniera ma di legalizzarli, in un quadro molto preciso, per un pubblico mirato». La lingua di Molière, aggiunge, resterà obbligatoria per tutti gli stranieri, che verranno valutati, e conterà per la consegna finale del diploma. Contrario al progetto di legge, Antoine Compagnon, insegnante al College de France e alla Columbia University, non è contrario a «una certa proporzione di lezioni in inglese, a patto che non si tratti dei corsi di base». Axel Kahn, ex presidente dell’Università Paris-Descartes, è in linea di massima favorevole. Ma insiste: «Dobbiamo utilizzare il francese per pensare il mondo attuale e l’avvenire. Deve rimanere l’unica lingua nel primo ciclo di studi universitari. Al contrario – conclude – per i master e i dottorati, dobbiamo poter utilizzare la lingua della comunicazione internazionale».

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