C’è una lezione da apprendere dalla bufala dell’agenda rossa

22 Mag 2013 19:59 - di Marcello De Angelis

C’è una lezione da imparare dalla bufala dell’agenda rossa. La storia – a questo punto totalmente fantasiosa – era che “qualcuno” avesse sottratto dalle macerie dell’auto devastata dall’attentato di via D’Amelio l’agenda che il magistrato antimafia Paolo Borsellino usava per i suoi appunti più riservati. L’agenda rossa – a partire dallo scoop bufala di Repubblica – è così diventata un simbolo, un logo, quasi un’icona a rappresentare il martirio degli uomini di legge, vittime dello Stato mafioso e poi dei suoi depistaggi e delle sue trame per occultare ai cittadini la verità. I parlamentari dipietristi e quell’altra bolla mediatica che fu il “popolo viola” ricucinarono l’agenda rossa in tutte le salse. Con le agendine in mano – che in realta sembravano molto il libretto dei pensieri di Mao che sventolavano i comunisti filocinesi – montarono persino una contromanifestazione a Palermo contro la tradizonale commemorazione di Falcone e Borsellino celebrata ogni anno prima dal Fronte della gioventù e poi da tutto il centrodestra. La particolarità di questa bufala, che si aggiunge a un’interminabile serie in cui spicca il contributo del quotidiano rosso chic, è che nasce per sostenere che ci fosse una corretta e completa informazione che, tramite la sottrazione dell’agenda, veniva criminalmente negata. Quindi Repubblica è riuscita a fare disinformazione sostenendo di aver svelato un tentativo di disinformazione e dato una notizia falsa per avvalorare la tesi che l’informazione sull’attentato e sulle indagini che ne seguirono fosse… falsa. Un’operazione da romanzi di spionaggio ma con aspetti kafchiani. Non è ovviamente lecito immaginare che il quotidiano di De Benedetti possa essersi consapevolmente prestato a un’opera di strumentalizzazione. Più  banalmente ci troviamo a che fare con un giornalista che voleva mettersi in mostra e ha costruito un romanzo sceneggiato su un dettaglio fotografico male interpretato. Ma, stando così le cose, in questi giorni Repubblica avrebbe fatto meglio a chiedere scusa ai lettori.

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