Napolitano striglia il Pd: “Coraggio sulle larghe intese”. E spara a zero sui finti moralizzatori alla Grillo

8 Apr 2013 20:05 - di Luca Maurelli

Allora lo chiamarono il governo della non sfiducia, dell’astensionismo, del compromesso storico o – in chiave critica – del consociativismo. Era il 1976, subito dopo le elezioni del possibile sorpasso del Pci ai danni della Democrazia Cristiana, che in realtà non ci fu. Ma quel passaggio nelle urne avvicinò per la prima volta i due colossi fino a farli sfiorare, creando un equilibrio paralizzante, fino a rendere impossibile un governo di maggioranza. Proprio come oggi. Ma allora un esecutivo nacque lo stesso, dopo un accordo preliminare sull’equilibrio delle cariche istituzionali (il democristiano Fanfani al Senato e il comunista Ingrao alla Camera, ma anche tutte quelle minori furono equamente calibrate) con Giulio Andreotti che assunse la guida di un un monocolore democristiano destinato a vivere grazie all’astensione dei comunisti e di quello che da lì a qualche anno sarebbe diventato il pentapartito (col Msi escluso da qualsiasi intesa in quanto considerato al di fuori dell’arco costituzionale). Erano gli anni delle Brigate rosse, dello scandalo Lockeed, della crisi, dell’austerità, delle stangate agli italiani. Quasi come oggi. Ecco perché non è un caso se a quel primo esperimento di intesa bipartisan tra nemici politici si richiama oggi Giorgio Napolitano, nella fase di stallo politica più lunga e dannosa dal dopoguerra in poi. «Nel 1976, quando ci fu l’esperienza del compromesso storico, ci volle coraggio in quella scelta inedita di larga intesa», ha detto il presidente parlando al Senato ad un convegno su Gerardo Chiaromonte, tra i protagonisti di quell’apertura comunista al dialogo. «Gerardo fu in prima linea al fianco di Enrico Berlinguer nella scelta e nella gestione di una collaborazione di governo con la Democrazia Cristiana dopo decenni di netta opposizione. E ci volle coraggio…». Ecco, appunto: coraggio. Con chi ce l’ha Napolitano? A chi chiede di osare? Il pensiero corre a Pierluigi Bersani, finora arroccato sulla pregiudiziale anti-pidiellina e incapace di discutere perfino di un nome condiviso per uno dei due rami del Parlamento. Il paradosso è che dalle file del Pd si sposa la linea dell’appello al centrodestra cui Napolitano si rivolgerebbe affinché sostenga un governo di minoranza a guida Pd. Ipotesi ardita, se si considera che Bersani finora non s’è voluto sedere a un tavolo per discutere col Pdl di nulla, tantomeno del Colle, altro che equilibri istituzionali del ’76. Un primo risultato, però, s’è visto: Bersani ha accettato di vedere Berlusconi. Ma troverà il coraggio di dialogare su tutto, anche sul Quirinale? L’altra staffilata della giornata, da parte di Napolitano, è a Beppe Grillo e ai finti moralizzatori. «Certe campagne, che si vorrebbero moralizzatrici, in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica». E qui c’è ben poco da interpretare.

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