Ma nel governissimo chi fa la Dc e chi fa il Pci?

9 Apr 2013 13:42 - di Mario Landolfi

Fuori i secondi! Ora al centro del ring si è piazzato lui, Giorgio Napolitano, il capo dello Stato. Spazientito dai ghirigori sul governo e dai gargarismi moralistici sulla politica, il Presidente ha deciso di prendere in mano la situazione e di assestare un paio di metaforici ceffoni all’indirizzo di Grillo e di Bersani. All’ex-comico ha ricordato che a seminare vento si raccoglie tempesta mentre all’ex-compagno ha rinfrescato la memoria rievocando la stagione del compromesso storico tra Dc e Pci. Non ha usato mediazioni, Napolitano, né manovre avvolgenti. Il colpo sferrato è diretto e c’è da giurare che se non fosse stato prossimo all’uscita dal Quirinale uno dei due, Bersani ovviamente, ne sarebbe stato steso al tappeto. A settennato scaduto, invece, è possibile che tutto cada nel vuoto.

Supponiamo tuttavia che l’invito presidenziale al governissimo venga accolto, chi farebbe la Dc e chi il Pci? Non rispondiamo pigramente, sulla base di schemi ormai desueti, per non dire logori, e non affrettiamoci a dire che essendo il PdL il partito-perno dell’alleanza dei moderati, la parte dello Scudocrociato gli tocca di diritto. È certamente un punto a suo favore, sempre che di moderati, di questi tempi, se ne trovino ancora su piazza. A pensarci bene, però, anche il Pd avrebbe qualche titolo da esibire in proposito: in primis è pieno di ex-dc, Franceschini, Letta, Fioroni, Marini, Rosy Bindi, cui va aggiunto di diritto pure Veltroni, che ha giurato di non essere mai stato comunista pur militando sotto Falce e Martello. E poi non va trascurato che il Pd è pieno di correnti, proprio come la Dc ai tempi dei tempi. Vuoi mettere gli isolotti e scogli vari in cui è frastagliato Largo del Nazareno (guarda caso anche l’indirizzo ha un riferimento religioso, come l’antica Piazza del Gesù) con il centralismo carismatico di Berlusconi? Il quale, nel frattempo, si è disfatto di tutte le vestigia dell’ancién régime prima assistendo, soddisfatto, all’addio di Follini dalla Casa della Libertà, poi chiudendo a Casini e a Buttiglione le porte del partito unico e, infine, costringendo alla resa vecchi fusti come Pisanu, uno che in Parlamento resisteva strenuamente dai tempi di Moro e Berlinguer.
Come si vede, la partita su chi debba fare cosa è apertissima e non è affatto detto che si possa chiudere in tempi brevi. Le scadenze sono ormai fissate: il 18 aprile, data un tempo cara ai soli democristiani che festeggiavano la storica vittoria elettorale contro il Fronte Popolare, effigiato da Garibaldi ma egemonizzato da Togliatti, e oggi assurta a ricorrenza nazionale in cui tutti son contenti, ex-comunisti compresi, per lo scampato pericolo di vedere l’Italia finir sotto l’Urss, è fissata la prima riunione del Parlamento in seduta comune con i delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica.
È una piccola vittoria dell’atteggiamento vischioso tenuto dal voto ad oggi da Bersani, intenzionatissimo a sottrarre la corsa al Quirinale dal campo d’azione del Cavaliere. Solo dopo si metterà mano all’ipotesi del governissimo e lì torniamo a bomba: chi fa la Dc e chi il Pci? Ma forse è meglio lasciare tutto sospeso per aria, tanto sarà il corso naturale delle cose ad assegnare i ruoli. Già s’intravede in lontananza la sagoma di Casini attirato da quel tanfo di inciucio che il suo olfatto democristiano scambia volentieri per profumo d’incenso. Il nuovo-vecchio corso potrebbe rimetterlo in pole. Lui l’aria l’ha già annusata e dopo la micidiale tranvata presa con Monti ha ripreso persino a parlare. All’erta: a volte ritornano.

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