Il vuoto ha avvelenato il Pd, vittima di talk show e di twitter

22 Apr 2013 11:03 - di Gennaro Malgieri

Nella guerra tribale che ha ucciso il Pd hanno giocato un ruolo tutt’altro che marginale due elementi sottovalutati nelle analisi e nelle cronache di questi giorni. Il primo è l’inadegutezza dei gruppi parlamentari di quel partito. Il secondo la mancanza di visione della sua classe dirigente.

Bersani, in nome del “nuovismo” e per assecondare la smodata ambizione di un Renzi qualsiasi, si è piegato alla logica del rinnovamento a tutti i costi riempiendo le liste di parvenu privi di esperienza, capacità, dimestichezza con la vita parlamentare. Questo non significa sostenere la cristallizzazione delle rappresentanze politiche nelle istituzioni. Ma riconoscere che un moderato gradualismo è indispensabile, come è sempre avvenuto peraltro, nei partiti tradizionali. Non si può, da un giorno all’altro, cancellare deputati e senatori, peraltro di provata affidabilità, e ritrovarsi a gestire complicate vicende, come l’elezione del capo dello Stato, alle prese con ragazzini (o poco più) privi per la maggior parte di cultura politica e di spirito militante (lo so, non si porta più e me ne rammarico perché è uno dei “fondamentali” per esercitare una buona politica). Non faccio nomi, ma dal “circolo del tortello magico” bersaniano alle schiere di ragazzotte e ragazzotti “premiati” chi per la fedeltà al segretario e chi per quello ai ras locali, il Pd si è trovato invaso di incompetenti e per di più di molti autentici “traditori” che non sanno come si vive la vita di un partito: se non si condividono le scelte della maggioranza su temi “criciali”, ci si alza, si espongono le ragioni del dissenso e al limite si lascia la poltrona neppure conquistata, ma semplicemente ottenuta per graziosa concessione.

Chi ha fatto vita politica e parlamentare sa che i “distinguo” sono all’ordine del giorno, ma non su vicende e problematiche dalla cui soluzione dipendono i destini stessi del proprio partito e, talvolta, quelli della nazione. Si impara, attraverso la militanza, anche ad ingoiare bocconi amari e a riconoscere che la comunità politica della quale si fa parte può anche riservare sgradevoli compromessi, come in una famiglia nella quale si è tentati di disobbedire ai genitori (e spesso purtroppo lo si fa), ma poi ci si adegua. E’ l’eterna storia dei gruppi istituzionalizzati. Diversamente è l’anarchia. E l’anarchia distrugge, come dimostrano le vicissitudini dei democrat.

Della mancanza di visione della classe dirigente del Pd qualcosa si è detto, ma non tutto. Non si è sottolineato abbastanza che un partito teleguidato da twitter, dai followers, dagli smanettatori di internet non ha futuro. Agli inzi di quest’anno il partito di Bersani veleggiava intorno al 38 %; quattro mesi dopo non esiste più. Tra la ridicola (e per certi versi orrenda anche esteticamente) farsa delle primarie – alle quali per fortuna si è sottratto il Pdl che sarebbe ora si strutturasse come un partito vero, a prescindere dalla messa in discussione della leadership ormai consolidata al punto che nessuno può verosimilmente azzardarsi a sfiorarla – e quella del reclutamento della classe parlamentare, non c’è stato spazio nel Pd per una stringente discussione sulla visione del futuro del Paese, dell’Europa, del superamento declino, della crescita scambiata con lo sviluppo (non sono la stessa cosa), della povertà dei Paesi affluenti come l’Italia, dell’uso dei beni comuni, delle questioni legate all’identità che è una questione di libertà essenzialmente, e via elencando.

Le giaculatorie che abbiamo ascoltato ci hanno danno il senso di un partito finito, piegato sulla cronaca più deprimente, legato all’occasionalismo, avviluppato in giochi di potere di difficile decifrazione da parte dell’elettorato. Dove sono stati gli intellettuali, i pensatori, gli analisti, gli strateghi che un tempo riempievano le fine della sinistra e contavano? Tra gli eletti non c’è un solo intellettuale di caratura superiore ad qualche assiduo frequantatore di talk show. L’immagine che batte la sostanza. Bisogna piacere, bucare il video, spedire centinaia di twitt al giorno per essere qualcuno.

Ecco, insieme con molto altro, che cosa ha determinato la caduta del Pd. La tragedia è che non restano neppure macerie, ma soltanto un impalpabile nulla. E non è finita qui. Avvicindandosi il congresso assisteremo al sedondo atto dell’autodistruzione: la vendetta. Forse ci verrà risparmiato il riorno degli zombie.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *