Il centrodestra lascia la porta aperta al Pd: «Non poniamo veti. Se Bersani dice sì, il governo si fa anche domani»

4 Apr 2013 21:25 - di Redazione

«I nostri sondaggi vanno a gonfie vele e potremmo spingere sul tasto delle elezioni ma siamo preoccupati per le sorti del Paese e chiediamo un governo di legislatura con Bersani». Nelle parole di Renato Brunetta c’è la posizione del Pdl. Intervenendo a Porta a Porta il capogruppo del Pdl alla Camera ribadisce: «Se Bersani dice di sì il governo lo facciamo domani. Non abbiamo nessun veto, riconosciamo che il centrosinistra ha vinto, anche se per pochi voti, e che Bersani ha il diritto di fare il presidente del Consiglio».  Ufficialmente Silvio Berlusconi continua a restare in silenzio aspettando di capire meglio i segnali che arrivano da Roma, dove proseguono i contatti tra gli ambasciatori del Pdl e quelli del Pd per tentare di preparare al meglio un eventuale faccia a faccia con Bersani. L’attesa è molta, tanto che oggi si erano diffuse voci insistenti di un incontro imminente tra i due leader. Notizia però smentita ufficialmente dall’ufficio stampa dell’ex premier. Che la partita sul prossimo presidente della Repubblica continui ad essere il big match che deciderà il prosieguo o meno della legislatura è cosa nota.

In merito al successore di Napolitano, viene ribadita la possibilità di sostenere un governo a guida Pd se ci sarà una condivisione sulla scelta. Ipotesi però a cui lo stesso Berlusconi crede ben poco, convinto invece che l’interesse di Bersani sia quello di eleggere un Capo dello Sato amico pronto a conferirgli il mandato per andare alle Camere. Se si dovesse dar retta ai bookmaker inglesi, le chance di Romano Prodi di diventare presidente sarebbero le più alte in assoluto. Un nome, come ricorda Gabriella Giammanco del Pdl, che non sarebbe «condiviso dal Paese visto che i suoi due anni di governo ci hanno dato brutti risultati. Per noi è un nome di rottura e dimostrerebbe che il Pd non tiene al colloquio. In questo modo il Pd dimostrerebbe l’arroganza del potere e non la necessità del dialogo».

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