I tedeschi siamo noi: per “Der Spiegel” la politica italiana non sa fare i compromessi

1 Apr 2013 17:49 - di Mario Landolfi

Siamo nel mirino tedesco. Nessuna paura, non siamo in guerra (almeno non ancora) e nessun cecchino, nessuna mitraglia germanica ci minaccia. A bacchettarci, invece, in maniera assolutamente incruenta ma non per questo indolore è il popolarissimo Der Spiegel che rinfaccia alla classe politica italiana di essere incapace di «trovare un compromesso» grazie al quale uscire dal lungo tunnel postelettorale. «Lo immaginate – si chiede il settimanale riferendosi al comitato di saggi voluto dal Quirinale – un governo formato in Germania al termine di un consulto con il direttore dell’istituto federale di statistica, un paio di ex-magistrati ed alcuni esperti?». Ce lo meritiamo, c’è poco da fare. Quel che tuttavia balza agli occhi rendendosi meritevole di commento non è la scontata diffidenza teutonica verso tutto quel che si muove al di qua delle Alpi quanto il merito stesso delle critiche. La Germania ha sempre deplorato l’insostenibile leggerezza italiana nella difesa di un principio o di un’alleanza, marchiandoci col timbro indelebile dell’inaffidabilità. La nostra politica è stata costantemente tacciata di bizantinismo, inconcludenza, opacità. Persino l’amara battuta andreottiana («amo talmente la Germania da volerne sempre due») fu percepita da quelle parti come uno sfoggio di ostile realismo al limite del cinismo. Eravamo tutti figli di Machiavelli, cioè ampiamente dotati di quello esprit florentin che per i tedeschi puzza di zolfo misto a incenso. E vanno capiti: una nazione cui i nostri giri di valzer ed i nostri ribaltoni politico-militari sono costati ben due guerre mondiali perdute e due dopoguerra tra i più duri mai imposti ad un popolo vinto, ha tutto il diritto di togliersi i macigni dalle scarpe e rimproverarci periodicamente le nostre emergenza e le nostre debolezze: dalla mafia (è ormai storia del giornalismo la copertina del solito Spiegel raffigurante un piatto di spaghetti con sopra una pistola) all’immondizia di Napoli, dal declino di Venezia alla scarsa cura dei siti storici che il mondo intero ci invidia. È come se i tedeschi volessero vendicarsi colpevolizzandoci di fronte ai nostri primati artistici, naturalistici, monumentali e quindi opponendo alla nostra pretesa sciatteria nel valorizzarli il loro rigore, il loro senso dell’ordine e della precisione. Se solo potessero, imbracherebbero volentieri il Colosseo con annesso Foro Romano per trasferirlo da loro al solo scopo di farci vedere come si tutelano i capolavori dell’antichità. Le critiche teutoniche, insomma, sono state sempre funzionali a lucidare il sempiterno cliché dell’italiano levantino, senza principi e vocato al voltafaccia. Ora, però, lo Spiegel cambia completamente registro e impone una sorta di rivoluzione copernicana nei tormentatissimi (ma intensissimi) rapporti tra Germania e Italia, con l’accomodante Berlino che tesse l’elogio del compromesso e l’intransigente Roma che lo rifiuta. È proprio vero che non ci sono più le stagioni di una volta. E neppure le nazioni.

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