Per salvare la democrazia serve un seria ricetta economica

11 Mar 2013 17:07 - di Gianni Papello

La situazione economica generale combinata con il risultato elettorale segnalano una vera emergenza per l’attuale sistema politico istituzionale e per l’intero Paese. Quando il 25% dei cittadini vota per un leader di partito che vuole bruciare il Parlamento o aprirlo come una scatola di sardine, vuol dire che siamo ai limiti della tenuta democratica del sistema. Le ragioni dell’insoddisfazione e di questa quasi rivolta sociale sono svariate, ma le principali possono essere riassunte in un senso di impotenza nei confronti dello strapotere e del malcostume politico e nelle crescenti difficoltà economiche generali e della classe media in particolare. Quando inoltre tutti gli indicatori economici e occupazionali peggiorano, la disoccupazione aumenta, le imprese chiudono e il reddito cala così come il mercato interno. E quando, infine, il sistema monetario è costantemente sotto attacco dai Paesi concorrenti, ancorché apparentemente alleati, vuol dire che davvero la stessa sopravvivenza del  Paese e del suo livello di vita e democrazia sono a rischio. Queste sono le sfide che il nuovo governo dovrà affrontare da subito. La dissennata politica recessiva del governo Monti, fortemente voluta dalla Germania, ha messo in ginocchio  l’intera economia italiana, già profondamente provata dalla situazione di crisi generale. E la situazione della Grecia, ridotta alla fame e incapace di risollevarsi costituisce l’ennesima dimostrazione di questo fallimento. Starà agli storici stabilire, ammesso che sia mai possibile, se Monti abbia agito in buona fede o come complice della Germania e di altri Paesi che miravano (e forse ancora mirano) a trasformarci in una loro colonia politica ed economica. A noi interessa capire come uscire da questa situazione.

Senza dubbio questo attacco sui due fronti, interno ed esterno, crea una emergenza ancora e ben più grave di quella degli Anni di piombo. Allora ci si trovò di fronte ad un attacco esterno contro lo Stato. L’unione e la saldezza dei principali partiti riuscì a farvi fronte.  Oggi l’attacco interno e quello esterno convergono, gli effetti economici del secondo, insieme a una gestione sconsiderata della politica, alimentano il primo. Solo una risposta forte e alta del sistema politico dell’intero Paese può fronteggiarli entrambi. Per respingere la minaccia è necessario innanzitutto ricompattare il Paese e restituire ai cittadini un minimo di fiducia nella politica e nelle istituzioni. A mio giudizio occorre intervenire, rapidamente e congiuntamente, in due settori che costituiscono la priorità assoluta:

– la riduzione forte e marcatamente visibile dei costi e dei privilegi della politica e della macchina pubblica;

– l’attivazione di misure che diano fiato all’economia interna e al reddito dei cittadini e delle imprese;

Del primo settore molto si è parlato, qualcosa a livello nazionale si è fatto (le Camere a fine legislatura dimezzarono il contributo ai partiti), ma moltissimo resta da fare. I contributi ai partiti sono ancora altissimi (10 volte quelli del 94), i costi  e i privilegi della politica sono ormai insostenibili, a livello etico prima ancora che economico. Ad esempio, i costi dei gruppi parlamentari, regionali provinciali, che sono lievitati in modo abnorme, o lo sconfinato numero di auto blu ancora in servizio (135.000). Ma perché un cittadino, al quale si sono chiesti pesanti sacrifici, dovrebbe accettare il fatto che un capogruppo consiliare abbia diritto alla macchina di servizio con relativo autista? O anche un capo segreteria di un ministro o addirittura di un sottosegretario, o di un presidente di Regione? O di un presidente o amministratore di società o ente di sottogoverno? Oppure, ancora, perché dovrebbero continuare a sopportare i mille privilegi dei politici o gli incarichi multipli dei magistrati e dei boiardi di Stato? O ,in ultimo, come possono accettare gli stipendi e le liquidazioni d’oro che i manager pubblici si assegnano praticamente da soli? Conosciamo bene tutti gli argomenti contrari: che queste spese incidono poco, che i benefit e i servizi sono necessari.  Ma oggi i politici devono capire che non è più il momento storico ed economico per tenere certi comportamenti. Il pubblico amministratore deve avere la diligenza del buon padre di famiglia. E in una famiglia, quando i figli non hanno da mangiare il primo a saltare i pasti deve essere lui. D’altronde nessuno lo obbliga a fare questo mestiere. Se la classe politica vuole sopravvivere, deve avere la forza e la lungimiranza di tagliare a zero o quasi questi costi, poco o tanto che incidano sui bilanci pubblici, e magari destinarli allo sviluppo o al sostegno dei più deboli. Quando è in gioco la sopravvivenza della comunità non si va per il sottile. I Romani dopo la battaglia di Canne fecero fondere i metalli delle case per fabbricare armi….e vinsero la guerra.

Sul fronte del rilancio economico occorrono scelte altrettanto coraggiose, e rapide per restituire fiato all’economia.  È indispensabile intervenire sui seguenti nodi

  • Riapertura del credito bancario per famiglie e imprese con l’utilizzo mirato dei fondi Bei all’uopo destinati e già distratti in precedenza e a loro favore dalle stesse banche;
  • Rilancio lavori pubblici con ripristino dell’anticipazione
  • Pagamento dell’enorme debito della Pa
  • Cancellazione dell’Imu sulla prima casa
  • Snellimento delle procedure per permessi e nulla osta

È inoltre necessario creare un sistema di sostegno per le classi meno abbienti, intervento questo che si tradurrebbe immediatamente, com’è ovvio, in un aumento della spesa interna e quindi darebbe fiato all’economia. Le risorse potrebbero essere cercate in vari settori, svincolando ad esempio gli investimenti produttivi dal patto di stabilità, utilizzando i risparmi derivanti dai tagli alla politica, tagliando i costi della Pubblica Amministrazione, effettuando una razionalizzazione dei costi sanitari, utlizzando le risorse della Cassa Ddpp, come elemento di garanzia e patrimonio. In un bilancio di 800 milioni di miliardi, oltre a quelli degli enti locali, con serietà, rigore e una visione moderna dell’economia reale possono essere reperite, come vedremo meglio in dettaglio, le disponibilità per ripartire.

Non è semplice e comporta sacrifici prima di tutto per i manager e i politici, ma non abbiamo scelta, se non vogliamo continuare a dare fiato alle politiche eversive e se non vogliamo finire come la Germania degli anni Trenta. Queste non sono certo misure che possano essere adottate da governi di minoranza o che si reggono per il cambio di casacca di un pugno di parlamentari. È necessario un accordo serio e responsabile tra i maggiori partiti anche limitatamente all’adozione di questi pacchetti di misure (e magari anche alla riforma della legge elettorale) in un tempo definito (18/24 mesi)  per poi tornare al voto in una situazione migliore. D’altronde che rilancio economico e moralizzazione della politica siano i temi prioritari è ampiamente condiviso dai due schieramenti maggiori. La situazione è talmente seria da richiedere uno scatto di dignità della classe politica che, o sarà capace di sacrificarsi e rinunciare a personalismi e obiettivi particolari a breve termine, o sarà condannata irrimediabilmente all’estinzione. Berlusconi con serietà  e senso di responsabilità ha già dato la sua disponibilità. C’è da augurarsi che il Pd faccia altrettanto e che la sinistra, dopo aver più volte tentato di azionare le procedure per la propria autodistruzione, non inneschi quelle per l’autodistruzione del Paese.

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