Nelle mani dello Stato di polizia fiscale: abolito il segreto bancario

26 Mar 2013 9:51 - di Gennaro Malgieri

Lo Stato di polizia fiscale è pronto ad estendere suoi tentacoli sulla nostra privacy residua. Tra poche ore (o giorni), in attesa della firma dell direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, le autorità competenti (una pletora di soggetti) potranno entrare nei nostri conti correnti, nei depositi postali, nei movimenti delle carte di credito, nelle cassette di sicurezza, nei buoni fruttiferi e in tutti i procdotti derivanti dai nostri risparmi. In Italia è abolito il segreto bancario, ultimo residuo di uno Stato libero e civile, difeso perfino dalle dittature, tanto è vero che neppure il fascismo arrivò a tanto e certamente ne aveva gli strumenti per farlo allo scopo di intimidire gli oppositori.

Dovevano arrivare i liberali di Monti, gli europeisti a ventiquattro carati, per distruggere con la legge 214 del 22 dicembre 2011 l’ultimo presidio di libertà rimasto in Italia. Non bastava che nostre vite venissero spiate da intercettatori compulsivi, che il panico di rispondere al telefono si diffondesse a macchia d’olio, che ci s’intromettesse nei nostri acquisti, nello stile di vita che conduciamo, che si applicassero strumenti come il redditometro per stabilire se è congrua o meno una spesa, indipendentemente dalla fonte che la determina (un regalo, una compravendita, una botta di fortuna al gioco, alla lotteria?). No, non bastava. La fine del segreto bancario è il coronamento della fine dello Stato di diritto. Ci manca la sharia, ma con i tempi che corrono non ce la faremo mancare.

Di fronte alla prospettiva che tutte le spese che effettuiamo, i prelievi ed i versamenti che facciamo in banca, i risparmi che investiamo vengano passati sotto la lente d’ingrandimento dello Stato, non è soltanto contrario al principio astratto di legalità, ma è moralmente indecente. Non è altro che quello che faceva la Stasi nella DDR: ingerirsi nelle vite degli altri che verranno inevitabilmnete condizionate dal poliziesco atteggiamento delle autorità che vorranno, a nostra insaputa per di più, sapere ogni cosa di noi. E le notizie acquisite come verranno utilizzate, che cosa ne faranno perfino dei dettegli più insignificanti?

Interrogativi che spaventano, ma che non sembrano impensierire la classe politica.

Il terrorismo tributario farà inevitabilmente calare i consumi, scoraggerà gli investimenti, deprimerà il livello dello stile di vita degli italiani. E di conseguenza i suoi effetti si faranno sentire sull’economia generale. Se oggi i disoccupati sono il 12,5%, di cui il 38% giovani, tra qualche tempo saranno molti di più. E a nulla varrà chiedersi se alle misure recessive che accompagnano il declino del nostro Paese era proprio necessario aggiungere provvedimenti da Stato di polizia fiscale che faranno perdere la fiducia ai cittadini nelle istituzioni pubbliche.

Abbiamo sempre sospettato che quando la declinazione ossessiva della libertà diventa un puro esercizio retorico, essa finisce per spegnersi. All’apparenza tutto va bene. Nei fatti, l’intrusione insopportabile nelle nostre esistenze limita fortemente il dispiegamento dei diritti fondamentali.

Dalle intercettazioni selvagge che, complice una certa stampa (anch’essa vestale della libertà, com’è noto), sputtana chiunque pur non essendo sottoposto ad indagine giudiziaria, all’abrogazione del segreto bancario il passo non è stato eccessivamente lungo, dopotutto. C’era da spettarselo. Lo avevamo denunciato per tempo, ma chi avrebbe potuto e dovuto opporsi non l’ha fatto. Adesso celebriamo, in nome della lotta all’evasione fiscale (che non si fa con questi metodi) lo strangolamento delle nostre privatissime attività. E non ci si meravigli se saremo costretti a spiegare in un giorno qualsiasi ad un oscuro funzionario come e perché i nostri conti bancari hanno subito un qualche stravolgimento non coerente con le abituali movimentazioni. Un tempo, al massimo, qualche spiegazione la dovevamo al direttore della banca. Adesso ad un Carneade qualsiasi.

Ha nulla da dire al riguardo l’ufficio del Garante della Privacy?

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