Cardini: «La rinuncia del Papa è un atto rivoluzionario, dobbiamo leggerne la carica simbolica»

2 Mar 2013 17:01 - di Siro Mazza

«L’universo dei simboli agisce indipendentemente dalle volontà umane: il Papa ci ha inviato dei segnali eloquenti». Franco Cardini, storico e studioso del Medio Evo, legge così la Rinuncia di Papa Ratzinger. In attesa del Conclave la poertata del gesto del gesto del pontefice è ancora forte.

Professor Cardini, è facile scorgere una qualche valenza simbolica nell’abdicazione di Benedetto XVI proprio durante il tempo quaresimale. Se nella tempesta della crisi post-conciliare, il cardinale Siri scrisse “Getsemani”, con riferimento a Gesù nell’Orto degli Ulivi, oggi siamo forse arrivati al “Venerdì santo” della Chiesa cattolica?

Questo io non lo so, e non è a me che lo si deve chiedere. Certo, gli elementi simbolici nella vicenda ci sono tutti. Il Papa ha scelto l’11 febbraio per annunciare che se ne sarebbe andato: è la giornata del malato, la festa della Madonna di Lourdes, le cui apparizioni sono strettamente legate al Concilio Vaticano I, in cui venne proclamato il dogma dell’infallibilità papale. Questo è senz’altro un motivo simbolico forte, così come l’imminenza del Mercoledì delle Ceneri, onde evidenziare la necessità di uno sforzo penitenziale in seno alla Chiesa. Ed ha scelto un momento in cui ci fossero i tempi adatti perché fosse eletto un nuovo pontefice entro Pasqua: anche questo è un dato potentemente profetico. Mi auguro che all’interno del collegio cardinalizio tutti questi segni simbolici siano stati colti. Evidentemente era un passo che Benedetto XVI meditava da tempo, ma il momento in cui l’ha compiuto è stato scelto con cura.

A un illustre medievista è inevitabile chiedere se si possano scorgere possibili paragoni con altre abdicazioni del passato, come quelle di Celestino V o Gregorio XII.

La risposta è no: non vi è nessun paragone possibile. Gli unici due casi che alcuni veri o supposti specialisti sono riusciti a mettere insieme sono quelli da lei menzionati. Due casi del tutto diversi: Celestino V non era proprio il pover’uomo ruspante che si vuole sostenere, ma comunque se ne andò quasi subito in circostanze del tutto diverse. Non era certo un uomo che aveva l’esperienza di Ratzinger. Gregorio XII fu deposto, non gli restava che andarsene prima che lo cacciassero dal Concilio di Costanza, insieme ad altri due “colleghi”. Questo è dunque un atto nuovo, rivoluzionario, compiuto scientemente e che si rifletterà sulla struttura e sul significato intimo della funzione pontificia, la quale, da ora in poi, sarà differente. Tutto ciò mette in discussione la funzione pontificia come funzione di guida a carattere monarchico della Chiesa. La fase che va dal Concilio di Trento al Vaticano I ora è messa in discussione: si è riaperto il problema del rapporto fra la funzione monarchica pontificia e quella collegiale dei vescovi della Cristianità occidentale.

Ma se è lecito parlare di una fine della monarchia papale, almeno così come concepita dai Concili di Trento e Vaticano I, bisogna parlare di un processo di modernizzazione e democratizzazione della Chiesa? Alla fine, si sarebbe giunti, cioè, alla figura di un Papa ridotto a presidente, o, peggio, ad “amministratore delegato” di un istituzione “umana, troppo umana”.

Francamente, non metterei le cose in questi termini. Non ipotecherei il futuro, né userei espressioni inadeguate alla vita e alla storia della Chiesa. È piuttosto probabile che questo gesto riconduca a una scelta che la Chiesa aveva fatto nel passato, con una conduzione attuata dai grandi Concili del primo millennio. In questo contesto, il vescovo di Roma era dotato di auctoritas, mentre la potestas ha risieduto fino al XII secolo nel Concilio, cioè nell’insieme dei prelati che sono alla guida delle singole chiese. È ciò che avviene nelle chiese non cattoliche. Ciò che è accaduto spinge fortemente in questa direzione.

Non le fa un certo effetto – fatte ovviamente le debite proporzioni fra le diverse sfere – che oggi in Italia ci si ritrovi senza Papa, senza governo e fra poco senza presidente, insomma, senza una guida né spirituale, né civile? 

È certo un momento di passaggio e di crisi,  pericolosissimo, difficilissimo, allarmante, inquietante, ma che però, come tutte le fasi di questo tipo, ha in sé, intrinsecamente, elementi potenzialmente positivi. L’impressione è che abbiamo toccato il fondo. E l’universo dei simboli, che agisce indipendentemente dalle volontà umane, ci ha inviato dei segnali eloquenti. Mia nonna diceva in fiorentino che «a forza di ruzzolar, si arriva al pianerottolo». Quindi, pur ammaccati e doloranti, ci rialzeremo e ricominceremo ancora una volta.

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