La vittoria di Grillo sarà la sua sconfitta

23 Feb 2013 17:51 - di Marcello De Angelis

Casaleggio ha detto che in piazza a Roma c’erano 800mila persone. Ovviamente sa anche lui che non è vero (ce n’erano 100mila e non è poco). Casaleggio non si vergogna a sparare cifre assurde, fa anzi parte della sua strategia di marketing e in certi casi funziona. Il linguaggio scelto per Grillo – che come quasi ammette lui stesso è di fatto un pupazzo del ventriloquo – è estremo e sopra le righe, urlato e proprio per questo non lascia spazio al contraddittorio. Se tu dici una cosa assurda ma la ripeti mille volte e gridando, o non ti credono oppure ti credono ciecamente senza fare domande. È la teoria base dell’indottrinamento dei gruppi fondamentalisti. Bersani, che non è uno stupido, ha detto le due cose più azzeccate su Grillo. La prima è che Casaleggio ha deciso di non mandare Grillo in televisione perché lì fanno domande. Non era una battuta. Grillo è un interprete da monologo, se esce fuori un giornalista e gli chiede cosa intende fare per la disoccupazione o non ti risponde, o risponde con una battuta o ti spara un’assurdità per dribblare la domanda. La seconda cosa verissima detta da Bersani è che lui non teme l’invasione grillina in Parlamento perché sa che, se vince la sua coalizione, dopo qualche mese un terzo degli eletti di Casaleggio passano con lui. È nella logica delle cose. I pochi alfabetizzati che corrono nelle liste 5 stelle sono assolutamente di sinistra, non strutturati e per lo più nemmeno si conoscono tra di loro. Pure se fossero duecento non sarebbero un gruppo, ma duecento unità singole, disorientati in un mondo nuovo e che scopriranno totalmente differente da quello che si aspettano. Alcuni saranno abbacinati dai velluti e dai privilegi, altri scopriranno che i privilegi e le indennità non sono nemmeno lontanamente quello che pensavano condizionati dalla propria stessa propaganda. Così qualcuno sarà deluso e qualcun’altro – più onesto intellettualmente – si sentirà preso in giro. Gli altri si perderanno nei meandri dei regolamenti parlamentari e affogheranno tra interrogazioni, mozioni, proposte e progetti di legge. Quindi, la vittoria di Grillo rischia di essere anche la fine del movimento. È come quando nei film arrivano gli invasori con l’ariete per sfondare il portone, i difensori aprono la porta all’ultimo momento e gli attaccanti finiscono tutti a terra. I difensori poi richiudono il portone e chi è dentro è dentro chi sta fuori è fuori. È così che, da almeno un secolo, le istituzioni democratiche disinnescano i movimenti sovversivi: assorbendoli e fagocitandoli e trasformando gli oppositori in propri simili. Casaleggio però non è uno sprovveduto e ne sa almeno quanto Bersani, quindi è consapevole del rischio che il suo lavoro finisca per ingrassare una parte del Palazzo a cui ha dato l’assalto. Forse in realtà vuole proprio quello, utilizzare cioè milioni di cittadini manipolati per portare semplicemente se stesso al tavolo delle spartizioni con un grande potere e poi venire a compromessi. Ma non sarà sfuggito a nessuno, guardando il palco di San Giovanni, che l’apparato del 5Stelle sembra una fotografia ritoccata del servizio d’ordine del movimento del ’77. L’unica vera differenza è il colore bianco/grigio dei capelli. A cominciare da Casaleggio, chi ha creato e fatto crescere il movimento di Grillo era animato, almeno 30 anni fa, da una volontà profonda di disintegrare il sistema della democrazia parlamentare attraverso la spallata di una montante mobilitazione di base e di piazza. A suo tempo lo si fece con barricate e molotov e non funzionò. Questa volta ci si prova distruggendo le istituzioni dall’interno. Ma se questa è la strategia, Casaleggio non può permettersi di fermarsi alla prima ondata, che sarà assorbita e istituzionalizzata la settimana prossima. Le sue truppe non sono né fidelizzate, né istruite, né coese, né coordinate. Il rischio è che la marea si infranga dopo aver superato il primo argine. Quindi, se il movimento non è una bufala assoluta e Casaleggio non è un utile idiota, la seconda fase dovrà essere breve e devastante per il Parlamento, con un ostruzionismo che costringa questa legislatura alla fine in tempi brevissimi, prima che i “kamikaze inconsapevoli” lanciati contro il Palazzo si guardino intorno e prendano altre strade. Casaleggio ha bisogno – come in ogni progetto  eversivo – di una “seconda ondata” che vada oltre la prima fase, faccia fuori i riformisti, faccia prevalere le posizioni più radicali e non compromissorie. Questo significa tornare tra brevissimo alle urne, dopo aver dimostrato l’incompatibilità delle istituzioni con la voglia di cambiamento radicale e far rimontare la protesta alzando il tiro. Con il traguardo di rientrare a Palazzo con il doppio dei voti e magari la maggioranza assoluta. Solo a quel punto Casaleggio potrà dettare le sue condizioni. E dimostrare – come aveva scommesso – di poter inventare dal nulla un movimento di aria fritta che lo avrebbe reso padrone d’Italia a costi bassissimi e senza quasi esporsi in prima persona. Avrà fatto così la sua rivoluzione (e dimostrato le sue grandi capacità professionali di guru del web-marketing). Difficile credere che il 90 per cento dei suoi sostenitori sia consapevole di dove stia andando o di chi dia le carte e manovri il gioco. Ma non sarà la prima volta nella storia. D’altronde anche il comunismo sovietico nacque così, con i soldi del Kaiser e promesse di eguaglianza per tutti.

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