Per capire la campagna elettorale serve un po’ di storia della letteratura…

21 Gen 2013 12:25 - di Redattore 54

 

Anche questa campagna elettorale, come tutte quelle che l’hanno preceduta, è un po’ parolaia, un po’ superficiale, un po’ a volume troppo alto. Ci si esercita sulle parole troppo ripetute (Imu, tasse, lavoro, legalità) e sulle parole desolatamente assenti (Stato, Mezzogiorno). Si ride sulla circostanza che lo stile british sta via via lasciando il posto al doppio senso e persino all’arguzia trash. Lo abbiamo visto con lo scambio di battute pifferaio-piffero. Uno scivolone semantico del professore che, come ha notato Luciana Littizzetto, ha offerto un assist impensato al Cavaliere. Dietro il paravento lessicale, quello alla portata di tutti, con le parole gettate come pietre contro l’avversario (era stato Grillo a inaugurare il filone) agiscono però altre suggestioni, desunte ovviamente dalle strategie di marketing onnipresenti ormai nella comunicazione politica.

Ne parla al quotidiano online  Lettera43 il sociologo dei consumi Stefano Gnasso, facendo un’analisi molto interessante e confermando che in tempi di crisi come quelli attuali più che il marchio in politica vale il racconto, la “vendoliana” narrazione, quella che lega il personaggio a un retroterra in cui l’elettore possa identificarsi. Il racconto di Silvio Berlusconi è sempre lo stesso, il rampantismo buono, generoso verso gli altri, capace di generare ottimismo. Ma per Gnasso vi si aggiunge un elemento nuovo in questa campagna elettorale: “L’archetipo narrativo della tragedia, quello dei delusi che continuano a combattere anche se sanno già che perderanno, quasi un A cercare la bella morte…“. Un elemento capace di conferire un’aura addirittura epica alla ridiscesa in campo del Cavaliere. E Monti? Qui “il clichè è quello dell’andata e ritorno. Ha presa su chi è insicuro e spaventato da una modernità spietata. Esprime una sorta di decrescita felice in termini borghesi”. Infine Bersani, con i suoi appelli al voto utile per battere Berlusconi, utilizza il modulo narrativo della “sconfitta del mostro”. La favola eroica, dunque, tipo Signore degli Anelli (e pensare che Grillo lo chiama Gargamella). Invece Matteo Renzi, se avesse vinto, avrebbe potuto utilizzare l’archetipo della ricerca come Harry Potter, “il personaggio che trova se stesso ed esce dall’avventura più forte e temprato”.

Troppo facile, a questo punto, tirare le somme: l’elemento tragico comporta sempre un sovrappiù di simpatia, così come il modello dell’eroe fiabesco che si scaglia contro un immaginario nemico assoluto. Il clichè meno appassionante, nella sua razionale medietà, è proprio quello montiano. Chi è stato il narratore più azzeccato lo si vedrà al momento del voto, quando gli elettori, oltre a mettere un croce, sceglieranno anche il “romanzo” di cui fare parte.

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